Cassazione civile sez. lav. - 09/11/2021, n. 32760: la Cassazione si pronuncia sul tracciamento delle attività di navigazione in internet effettuata dal lavoratore durante gli orari di lavoro: con l’avvento del Jobs Act gli elementi raccolti possono essere utilizzati per finalità relative alla contestazione disciplinare.
Riassumendo brevemente la questione sottoposta all’attenzione della Suprema Corte di Cassazione: nel 2011 la Società Alfa, dopo aver svolto alcuni controlli di sicurezza del proprio sistema informatico, scopriva che una sua dipendente aveva effettuato una serie rilevante di collegamenti a siti internet di carattere ludico e commerciale durante gli orari di lavoro. La Società decideva quindi di sospendere la dipendente a causa dell’uso improprio del terminale assegnatole per motivi di servizio. Quest’ultima richiedeva al Tribunale di Roma l’annullamento della sanzione disciplinare e la restituzione delle somme decurtate dallo stipendio.
Il giudice di primo grado accoglieva la domanda di annullamento, sostenendo che l'attività di controllo posto in essere dal sistema informatico, in quanto utilizzabile per effettuare un controllo a distanza dell'attività lavorativa, rientrasse nel novero di quelle condotte richiedenti il previo accordo delle rappresentanze sindacali ai sensi dell'art. 4 comma 2 della L. n. 300/1970 (c.d. Statuto dei Lavoratori). In assenza della garanzia fornita dall’accordo con le rappresentanze sindacali, dunque, le informazioni reperite non potevano essere utilizzate per irrorare una sanzione disciplinare.
La sentenza veniva impugnata dalla Società Alfa, argomentando come i controlli effettuati esorbitassero dalla disposizione soprarichiamata, dal momento che avevano la finalità di preservare il patrimonio aziendale (in particolare, la rete) e non di monitorare a distanza l’attività lavorativa. La Corte di Appello, tuttavia, respingeva il gravame e, di conseguenza, la Società Alfa ricorreva in Cassazione lamentando la falsa applicazione dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori nonché degli art. 2,3,11 e 114 del Dlgs. 196/2003 e degli artt. 2086 e 2104 c.c.
La Suprema Corte, facendo leva su un consolidato orientamento giurisprudenziale, rigettava il ricorso sostenendo che, nonostante la modifica testuale introdotta con il Dlgs. 151/2015 (c.d. Jobs Act), la condotta tenuta dalla dipendente doveva – ratione temporis - essere ricompresa nel dettato originario dell’art. 4 comma 2 della L. 300/1970. Di conseguenza, echeggiando le parole utilizzate dalla sentenza di primo grado, gli Ermellini stabilivano che “i dati acquisiti dal datore di lavoro nell'ambito dei suddetti controlli difensivi non potevano essere utilizzati per provare l'inadempimento contrattuale del lavoratore”.
La peculiarità della decisione in esame, tuttavia, risiede nella precisazione effettuata dai Giudici di legittimità all’interno della loro pronuncia, dalla quale traspare la consapevolezza da parte dei Giudici del fatto che avrebbero deciso diversamente qualora i fatti sottoposti alla loro attenzione fossero avvenuti dopo la promulgazione del Jobs Act.
In particolare, come ribadito nella sentenza, la novella ha semplificato il contenuto dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, stabilendo al secondo comma che: “La disposizione di cui al comma 1 (vale a dire il necessario accordo con le rappresentanze sindacali per l’utilizzo degli strumenti dai quali derivi la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori) non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.”
A partire dalla modifica apportata dal Jobs Act, quindi, come si legge nella sentenza in esame, “gli elementi raccolti tramite tali strumenti possono essere utilizzati anche per verificare la diligenza del dipendente nello svolgimento del proprio lavoro, con tutti i risvolti disciplinari e di altra natura connessi.”
In conclusione, alla luce di quanto appena riportato, emerge che, ad oggi, la Società Alfa ben potrebbe comminare una sanzione disciplinare ai propri dipendenti, qualora dovesse reperire evidenze di un utilizzo scorretto dei terminali assegnati durante l’orario di lavoro.