Lo scorso novembre, la Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso proposto da un soggetto condannato in sede d’appello per il reato di ricettazione (Cassazione penale, Sezione II, sentenza del 14 novembre 2016 n. 48017). Si tratta di una sentenza particolarmente importante, in quanto mette in luce la rilevanza penale che gli acquisti effettuati online possono assumere.
Nel caso di specie, il soggetto in questione aveva acquistato da un venditore malese quindici paia di scarpe contraffatte, tramite il sito web eBay. Tratto a giudizio, l’imputato era stato condannato in primo grado (con sentenza, successivamente, confermata in appello) per ricettazione (art.648 c.p.) e introduzione nel territorio dello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (art.474 c.p.).
L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione avverso la decisione del giudice d’appello, sulla base, tra gli altri, dei seguenti motivi: inosservanza dell’art.56 c.p., dovendosi il reato considerare soltanto tentato e non consumato; nonché dell’art.9 c.p., essendo l’azione penale improcedibile sul territorio italiano per omissione di istanza o querela della persona offesa e richiesta del Ministro della Giustizia.
In via preliminare, occorre precisare che, secondo consolidata giurisprudenza, un annuncio di vendita pubblicato su un sito web è qualificabile come offerta al pubblico ai sensi dell’art.1336 c.c., ossia una proposta che si rivolge ad un pubblico indifferenziato (nella specie, gli utenti del sito web) e che contiene gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è diretta. Salvo che sia diversamente disposto, l’offerta al pubblico consente di pervenire alla conclusione del contratto nel momento in cui il proponente (nella specie, il venditore) viene a conoscenza della dichiarazione di accettazione da parte del destinatario (nella specie, l’imputato acquirente), stante il disposto dell’art.1326 c.c..
Nel caso in esame, tuttavia, posto che la prestazione, da parte del venditore, doveva eseguirsi senza una preventiva risposta stante la natura dell’affare, si ravvisa la ricorrenza della fattispecie contemplata dal successivo art.1327 c.c., a mente del quale “qualora (...) la prestazione debba eseguirsi senza una preventiva risposta, il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione”. Infatti, a seguito del pagamento da parte dell’imputato del prezzo indicato nel relativo annuncio, il venditore malese ha provveduto tempestivamente a spedire la merce in Italia. Pertanto, dal punto di vista civilistico, il contratto si è concluso all’estero, nel luogo e nel momento in cui il venditore malese ha consegnato la merce al vettore per effettuare la spedizione.
In ordine al reato di ricettazione per ipotesi di acquisto, la giurisprudenza di legittimità ha sempre ritenuto che il locus commissi delicti coincida con il luogo di perfezionamento del contratto (il quale, secondo la normativa civilistica, si considera concluso al momento dell’accordo fra cedente ed acquirente sulla cosa proveniente da delitto e sul prezzo).
Nella pronuncia del 14 novembre 2016, la Corte di Cassazione si è discostata dal precedente orientamento ritenendo non applicabile la suddetta conclusione, rigettando il motivo di ricorso concernente l’improcedibilità dell’azione penale in Italia per contrarietà all’art.9 c.p. e invocando la cd. “teoria dell’ubiquità”. Secondo la Corte, in caso di ricettazione di merce contraffatta, il cui contratto si sia concluso in un Paese estero a norma delle disposizioni civilistiche, il reato deve considerarsi commesso nel territorio dello Stato ex art.6 comma 2 c.p., se ivi si è compiuta una parte anche minima o subvalente della condotta, pur priva dei requisiti di idoneità e di inequivocità richiesti per il tentativo. In particolare, nella specifica fattispecie al vaglio dei giudici, la parte di condotta verificatasi nel territorio italiano è rappresentata dall’ordinativo della merce, che costituisce un comportamento atto a modificare il mondo esteriore e, come tale, a contribuire alla perpetrazione del reato.
In altri termini, in materia di ricettazione di merce contraffatta, il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, se ivi è stata commessa, ai sensi dell’art. 6 comma 2 c.p., una parte dell’azione (nella specie l’ordinativo della merce) anche se il reato risulti consumato all’estero.
Per quanto attiene alla presunta violazione dell’art.56 c.p., la Corte ha sostenuto che il giudice d’appello correttamente ha rilevato la consumazione del delitto di ricettazione, il quale si consuma, nell’ipotesi di acquisto, al momento dell’accordo fra cedente e acquirente sulla cosa di provenienza illecita e sul prezzo.
Infine, nella sentenza in esame, i giudici di legittimità hanno evidenziato ulteriori elementi che risultano determinanti ai fini della contestazione del delitto di ricettazione, nonché ai fini della distinzione con il reato minore di incauto acquisto, con conseguenze rilevanti sulla determinazione della pena.
A differenza dell’incauto acquisto, la ricettazione presuppone la conoscenza della provenienza delittuosa del bene acquistato, ricevuto o occultato, nonché il fine di ottenere un profitto per sé o per altri. Posto che il ricorso crescente agli acquisti online si giustifica con la volontà di realizzare maggiori risparmi e, dunque, profitti per i consumatori, la consapevolezza della provenienza illecita del bene o, quanto meno, l’accettazione del rischio di contraffazione sono desumibili dal prezzo irrisorio della merce proposta, dalla quantità acquistata e dalla circostanza che il Paese di residenza del venditore sia noto per l’attività di contraffazione.
Il merito di questa sentenza è di aver delineato i confini del penalmente rilevante nel commercio online, gettando le basi per una progressiva regolamentazione di questo nuovo tipo di compravendita.
I consumatori italiani desiderosi di godere dei benefici dell’e-commerce dovranno operare con più cautela e prudenza, affinché il fine legittimo di risparmiare sull’acquisto di un determinato bene non si traduca in una condotta penalmente perseguibile.