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Più chiarezza nella denominazione degli studi associati

Scritto da Francesco Loppini

L'art 17, comma terzo, del codice deontologico approvato dal Consiglio nazionale forense il 7 aprile 1997 consente, nella denominazione di uno studio legale associato, l'indicazione del nome di un avvocato defunto che avesse fatto parte dello studio. Ecco che quindi non è raro trovare studi associati prestigiosi che portano il nome di un illustre fondatore, come lo studio 'Carnelutti' di Milano, il quale prende il nome dall'illustre avvocato morto nel 1965. Proprio la questione inerente il nome di questo noto studio legale finisce in un aula di tribunale, con gli eredi e i colleghi del defunto giurista a darsi battaglia.
La Corte di appello di Milano ha giudicato la norma del codice deontologico forense sopra riportata come in contrasto con le disposizioni imperative che la legge impone in materia, e precisamente in contrasto con l'art. 1 della Legge 23 novembre 1939 n° 1815, che disciplina l'esercizio in forma associata delle professioni protette. In base a questa norma, infatti, nella denominazione degli studi professionali è vietato l'utilizzo di ogni elemento identificativo ulteriore rispetto al nome e al titolo dei singoli associati. La Corte ha affermato che il codice deontologico è atto normativo emanato da un'autorità non statale, nell'esercizio di un autonomo potere di regolamentazione e in una funzione amministrativa; tale normazione secondaria non può, quindi, derogare alla normativa primaria, come la legge 1815/39 richiamata nella sentenza come disciplina di riferimento per la materia.
E' vietato, pertanto, l'utilizzo del nome di un socio fondatore o di un socio defunto. Deve, altresì, essere indicato non solo il cognome dei soci, ma anche il nome di battesimo, onde evitare confusioni. Ne discende l'illiceità dei riferimenti al nome di un avvocato che non sia più associato. La disposizione in esame trova la sua base nella regola generale della personalità della prestazione professionale: il principio della personalità, per il quale l'associazione non può assumere incarichi in proprio, è quindi incompatibile con la possibilità che nella denominazione dell'associazione siano indicati nomi diversi dagli associati attuali.
Questa sentenza potrà avere effetti dirompenti, anche e soprattutto in considerazione del fatto che per i giudici 'i contratti che si pongono in contrasto con le predette prescrizioni e divieti sono, ai sensi dell'art. 1418 c.c., comma primo, nulli. Non è difficile immaginare quale impatto possa avere questa previsione di nullità nei casi dei grandi studi Italiani che prendono il proprio nome da storici fondatori, oppure nel caso degli studi che, a seguito di accordi con grossi network internazionali, utilizzano il nome di professionisti che in concreto non esercitano in Italia.
Nemmeno l'art. 18 del d.lgs 96/2001, il quale espressamente prevede la possibilità di utilizzo del nome di un socio deceduto, può essere considerato una 'norma di salvezza, poiché i giudici milanesi richiamano l'art. 16, comma quinto, dello stesso d.lgs 96/2001, il quale fa salvo 'quanto disposto dalla Legge 23 novembre 1939 n° 1815, e successive modificazioni'. Ne consegue che la legge 18185/39 rimane la normativa di riferimento per l'esercizio in forma associata delle professioni protette.
Staremo a vedere quali saranno le conseguenze di questa sentenza, soprattutto riguardo a quello che appare essere come il terreno di scontro maggiore: quello già accennato degli studi appartenenti ai grossi network internazionali, i quali operano ormai da anni ne nostro Paese, e il cui volume di affari sta aumentando sempre più, con conseguente aumento esponenziale dei contratti conclusi, contratti sui quali pende ora la spada di Damocle della nullità ex art. 1815 c.c. prospettata dai giudici milanesi.

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