Sommario: 1. Cosa si intende per social network? 2. Social network e rapporto di lavoro; 3. “Social” ed art. 4 dello Statuto dei lavoratori; 4. Social network: strumento di lavoro, strumento di controllo; 5. Conclusioni
1. Cosa si intende per social network?
I Social network si identificano, comunemente, in servizi informatici on-line che permettono la realizzazione di reti sociali virtuali. Trattasi di siti internet o tecnologie che consentono agli utenti di condividere contenuti testuali, immagini, video e audio e di interagire tra loro.
Generalmente i Social network prevedono una registrazione mediante la creazione di un profilo personale protetto da password e la possibilità di effettuare ricerche nel database della struttura informatica per localizzare altri utenti e organizzarli in gruppi e liste di contatti.
Le informazioni condivise variano da servizio a servizio e possono includere dati personali, sensibili (credo religioso, opinioni politiche, inclinazioni sessuali ecc.) e professionali. Sui Social network gli utenti non sono solo fruitori, ma anche creatori di contenuti.
La rete sociale diventa un ipertesto interattivo tramite cui diffondere pensieri, idee, link e contenuti multimediali[1].
Il web 2.0, grazie alle suddette numerose funzionalità [supporto per pubblicare immagini, video e commenti, servizio di messaggistica in tempo reale (chat), geolocalizzazione (check-in) ed individuazione dell’orario in cui ciascuna azione virtuale viene compiuta], è divenuto parte integrante della realtà sociale moderna e, quindi, si espone anche a considerevoli interazioni con il mondo del lavoro, esponendo i dipendenti ad eventuali controlli a distanza; chiaramente questi ultimi debbono anzitutto procedere alla creazione di un loro profilo identificativo personale e, necessariamente, vivere rapportandosi alla societas virtuale.
I Social network consentono ai fruitori del servizio di uscire dall’anonimato della vita quotidiana e rivelare alla “piattaforma sociale” i propri gusti, le proprie opinioni, ed addirittura i propri comportamenti in tempo reale, ritagliandosi un vero e proprio ruolo nella società digitale.
Da ciò può dedursi agevolmente che, essendo l’utente in possesso di un’identità digitale, all’interno della piattaforma Social, e più precisamente all’interno del supporto digitale fornito dal provider del servizio, rimarrà traccia di tutte le azioni da questo compiute[2].
Tracce che, nel linguaggio giuridico, sono identificate come dati personali e sensibili, meritevoli di tutela perché idonei a dischiudere informazioni compromettenti per la stabilità del rapporto di lavoro[3].
2. Social network e rapporto di lavoro
Tuttavia, nell’ambito del rapporto di lavoro, il dipendente-utente, può essere indotto a dedicare oltremodo tempo alla gestione della sua immagine sui Social network anziché esaurire diligentemente la prestazione lavorativa cui è obbligato da contratto.
Il Social viene così a rappresentare una distrazione minacciosa per la conservazione del posto di lavoro, qualora il lavoratore, in spregio al dovere di diligenza di cui all’art. 2104 c.c., interrompa lo svolgimento della prestazione per dedicarsi all’attività online, che siano di chat, di giuoco, di informazione etc.; tempo sottratto all’attività lavorativa traducibile in mancata produttività, uno dei fattori portanti dell’organizzazione aziendale[4].
Specularmente alla vita reale, il prestatore di lavoro può assumere comportamenti illeciti “digitalizzati”[5].
La casistica giurisprudenziale indica che, in casi del genere, il patrimonio aziendale, inteso in ampia accezione, comprensivo di beni immateriali (quali l’immagine aziendale, i segreti industriali e il know-how) subisce gravi lesioni che portano il datore di lavoro a considerare “troncato” il vincolo fiduciario che lo legava al singolo dipendente.[6]
In corrispondenza di tale svariata gamma di comportamenti inadempienti, ma soprattutto illeciti che il lavoratore può manifestare attraverso l’utilizzo dei Social network[7], il datore di lavoro sviluppa, sempre più frequentemente, il desiderio di monitorare la condotta del singolo lavoratore sulla piattaforma digitale.
Non si tratta semplicemente di soddisfare una mera curiosità, bensì l’esigenza di difesa datoriale, spesso soddisfatta attraverso lo svolgimento di attività investigative e di sorveglianza rivolte a scovare bad practices, nonché finalizzate ad “incamerare risultanze probatorie da utilizzare in giudizio al fine di evitare che queste scorrettezze restino impunite”[8].
3. “Social” ed art. 4 dello Statuto dei lavoratori
Dal quadro così descritto, evince l’evoluzione di Social network che oltre alla loro funzione originaria di svago e divertimento, acquisiscono potenzialità di incisivi mezzi di controllo.
La questione fondamentale da porsi, alla luce del lavoro di analisi svolto sin ora, concerne l’utilizzabilità dei dati reperibili sui Social network quali fonti di prova in giudizio per contestare l’inadempimento o un fatto illecito al lavoratore, ed in quali limiti ciò sarebbe concesso dall’ordinamento.
Tale riflessione impone ancora una volta la focalizzazione sull’architettura di regole in materia di controlli a distanza dei lavoratori, con particolar occhio al seguito della novella che ha interessato l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.
Sull’esegesi dell’art. 4 St. Lav., preme ribadire come la norma da un lato costituiva un evidente baluardo all’attività di osservazione e giudizio sullo svolgimento della prestazione lavorativa nonché sul rendimento del lavoratore, dall’altro, ciò non poteva affermarsi con riferimento a condotte illecite, specie di natura penale, perpetrate dai dipendenti: la disposizione, infatti, non regolava in alcun modo ipotesi di controllo a distanza su fatti illeciti dei lavoratori.
Lacuna normativa evidentemente colmata dalla giurisprudenza, in valorizzazione della tutela d’impresa, mediante la creazione de la “categoria giuridica autonoma” dei c.d. controlli difensivi[9].
Il controllo a distanza realizzato mediante Social network costituisce un esempio calzante della sovrapposizione tra condotte illecite ed inadempienti del prestatore di lavoro[10].
Il legittimo utilizzo del Social in qualità di strumento di controllo a distanza, fine alla tutela del patrimonio aziendale, alla luce delle sentenze sin ora richiamate, è stato avallato dalla giurisprudenza della Suprema Corte, la quale, anche in considerazione di controlli operati in senso occulto, ha fondato la propria visione d’apertura sulla mancata violazione di principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto[11].
L’art. 23 del decreto legislativo 151/2015, nell’ambito di un sontuoso quadro riformatore del mercato del lavoro (Jobs Act), interviene a sostituire integralmente il testo della norma in discussione, art. 4 St. Lav., e dell’art. 171 del d. lgs. 196/2003 (Codice della privacy).
Punto di notevole interesse, snodo per le pregresse incertezze interpretative, è, chiaramente, il nuovo terzo comma dell’art. 4 St. Lav. ove si prevede che, a prescindere dallo strumento tecnologico installato, gli esiti delle rilevazioni ottenute a distanza, sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro.
Unica, imprescindibile condizione per l’attuazione della suddetta disposizione è la necessaria adeguata informazione sulle modalità di effettuazione dei controlli da fornire al lavoratore, nel pieno rispetto dei principi dettati dal Codice della privacy.
La disposizione, ad oggi, consente al datore di lavoro di controllare a distanza il corretto o scorretto svolgimento della prestazione di lavoro, non sottovalutando le finalità meritorie, attraverso l’analisi del rendimento del dipendente; e ciò si desume dalla circostanza che il legislatore ammette l’utilizzo delle informazioni desunte dal controllo «a tutti i fini» contrattuali in sede di procedimento disciplinare e di processo giudiziale.
Come noto, tuttavia, l’utilizzo è subordinato al rispetto di alcuni principi[12], attinenti alle modalità con cui i controlli a distanza dovranno essere effettuati, scolpiti nel Codice della Privacy e nei provvedimenti dell’Autorità Garante.[13]
In ogni caso, data la mantenuta presenza di causali tipiche e tassative, ai primi due commi del nuovo art. 4 St. lav., anche se previste solo per l’installazione di strumenti di controllo, si desume anche nel vigore della norma novellata il divieto di controllo esclusivo dell’attività lavorativa.
Per tale dovendosi intendere quella sorveglianza esclusivamente rivolta al controllo sull’esatto o inesatto adempimento della prestazione, non giustificato a priori dalla sussistenza di altre finalità ed esigenze aziendali[14].
4. Social network: strumento di lavoro, strumento di controllo
“Il Social network, data la sua eclettica polivalenza, rappresenta un paradigma perfetto di come la funzione di lavoro e la funzione di controllo possano condensarsi e aggrovigliarsi in un medesimo programma informatico”[15].
Non è affatto insolito ormai, alla luce dei fili che muovono la realtà economica moderna, che un lavoratore utilizzi la piattaforma Social come puro strumento di lavoro: basti pensare ai lavoratori impiegati nei settori di Social media marketing, Social media communication, Social media management, ecc...
Chiaro che in casi di simile impiego, il dipendente si troverà ad esercitare le proprie mansioni usufruendo di un profilo aziendale[16], le cui credenziali (nome utente e password) saranno fornite dal datore stesso: non si ritiene debba essere esperita alcuna particolare procedura per la consegna delle suddette credenziale, le quali rimangono conosciute ed a disposizione della parte datoriale.
Intendendosi, quindi, per tali impieghi, il Social network quale strumento di lavoro, la consegna delle credenziali senza vincoli formali e/o sostanziali, risponde quindi ad esigenze di semplificazione che fanno capo all’interesse dell’impresa e del datore di lavoro.
Le criticità sollevate in dottrina[17] riguardano la patologia dell’utilizzo di uno “strumento” che potrebbe concedere un controllo totalizzante.
Il lavoratore, infatti, potrebbe subire sanzioni disciplinari, sino al licenziamento, nel caso in cui il datore di lavoro constati un inadempimento contrattuale.
Ciò può verificarsi nel caso in cui il lavoratore utilizzi il profilo aziendale per svolgere attività estranee rispetto a quelle per il quale gli è stato concesso (ad es. chattare con amici e conoscenti); oppure nell’ipotesi in cui il dipendente manifesti pensieri e opinioni che non risultino in linea con le strategie e le politiche aziendali. Ebbene, certamente la norma, ed in particolare il combinato disposto dei commi 2 e 3, autorizza il datore di lavoro ad acquisire questi dati e a utilizzarli come prove dell’inadempimento contrattuale.
Occorre però una puntualizzazione: alla luce delle stringenti ed imprescindibili condizioni richieste dal nuovo dettato dell’art. 4 St. Lav., affinché tale disciplina sia applicabile, il lavoratore che utilizzi il Social network a fini lavorativi deve essere reso edotto, attraverso adeguata informativa, delle eventuali modalità di controllo a distanza che il datore di lavoro potrà attivare.
Non di meno, il dipendente dovrà essere, attraverso la suddetta informativa, messo al corrente delle specifiche modalità di corretto utilizzo della piattaforma: sarà bene che l’informativa sia specifica nel chiarire cosa il dipendente potrà e non potrà fare (se ed in che misura può aggiungere amici, che grado di pubblicità potrà e/o dovrà avere quel profilo, se può inserire foto o video riguardanti i locali aziendali ecc. ...).
L’informazione e la trasparenza non esauriscono il quadro delle tutele, perché il principio di proporzione si traduce nel divieto assoluto di “controlli prolungati continui e indiscriminati”, che sono da considerarsi illeciti. [18]
Inoltre, in ossequio al principio di prevenzione, caro soprattutto al legislatore comunitario[19], come si è avuto modo di vedere nel corso della trattazione, il controllo a distanza di tipo successivo, effettuato sul singolo lavoratore, deve costituire una extrema ratio.[20]
In caso di violazione delle suddette condizioni poste dal dettato normativo, pare ovvia la conclusione dell’inutilizzabilità dei dati registrati attraverso lo strumento, ai fini di eventuali applicazioni sanzionatorie disciplinari: tale riflessione non tiene in considerazione la specificità del Social network in quanto tale, bensì l’appartenenza di quest’ultimo alla categoria degli “strumenti di lavoro” enucleata nel nuovo secondo comma dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.
I Social network, come anticipato, hanno assunto dapprima una funzione di svago, di divertimento, di sfogo, di rifugio, delle persone in una realtà parallela, e poi, di seguito, data la notevole espansione in termini di utilizzo, sono stati adottati per migliorare aspetti lavorativi non più trascurabili.
Non di rado, quindi, accade che dipendenti, sul luogo di lavoro, siano colpiti, all’insegna della distrazione, dall’esigenza di discostarsi dal corretto adempimento della prestazione lavorativa (che, nel caso in corso d’analisi, non ha punti di contatto con l’utilizzo di una piattaforma sociale online), per concentrare la propria attenzione sulla “realtà virtuale”.
Qualora il datore di lavoro, insospettito dalla rilevazione di anomalie nel funzionamento della rete intranet aziendale o venga a conoscenza della presenza di post, foto o video e persino di gruppi, creati dal singolo dipendente o a cui egli abbia aderito, che risultano sconvenienti per l’immagine dell’azienda[21], può accadere che il datore abbia interesse nell’accedere al profilo personale del singolo lavoratore, conscio del fatto che la consultazione di questo possa disvelare informazioni, sia sull’esecuzione dell’attività lavorativa che sulla commissione di comportamenti illeciti di svariata natura[22].
In simili casi, profilo di critica complessità deriva dal fatto che l’esercizio del potere di controllo datoriale trova a scontrarsi con le impostazioni di privacy del profilo prescelte dal lavoratore: l’utente virtuale, infatti, stabilisce quale grado di pubblicità attribuire al proprio profilo.
Quando il profilo del dipendente sia accessibile solo ad “amicizie dirette” e non sia visitabile da chiunque, qualsiasi contenuto pubblicato sulla pagina personale è da considerarsi riservato.
Il filtro adottato costituisce una scelta consapevole volta ad esercitare uno ius escludendi alios rispetto alle proprie informazioni personali: in tal senso, l’esternazione dei propri contenuti non si svolge in “un luogo aperto al pubblico”, ma è riservato ai soli soggetti specificamente autorizzati dal titolare del dato[23].
Invece, quando il profilo sia “pubblico”, postare sul Social equivale a renderlo noto alla collettività in un “luogo aperto al pubblico”[24].
5. Conclusioni
Il nuovo art. 4 St. lav., come è stato messo in evidenza, ha subordinato il controllo a distanza finalizzato ad accertare comportamenti illeciti ed inadempienti (controlli c.d. difensivi) alle garanzie sostanziali e procedurali previste per i controlli da cui potrebbe trarsi un’osservazione dell’attività lavorativa, sottraendo le sorti della legittimità all’imprevedibile ed oscillante giurisprudenza che dominava la materia.
La nuova regolamentazione dei controlli a distanza sarebbe dovuta essere in grado di coniugare esigenze produttive ed organizzative dell’impresa con tutela della dignità e riservatezza del lavoratore.
Il punto di equilibrio tra le due istanze andava necessariamente individuato in un accorto bilanciamento degli interessi in gioco e delle situazioni soggettive, il che “presupponeva una scelta politica tout court che attiene a obiettivi e valori di fondo, nonché ai beni che si sceglie di voler tutelare in via prioritaria, fra quelli costituzionalmente protetti”[25].
In conclusione, la posizione del datore di lavoro risulta aggravata rispetto al passato.
Ed infatti, ad oggi, ogni qual volta il datore voglia soddisfare l’esigenza di servirsi di strumenti come il Social network per controllare eventuali condotte illecite e pregiudizievoli del patrimonio aziendale, dovrà concludere trattative sindacali dimostrando che lo svolgimento d’indagini sui profili dei dipendenti si rende necessario ad es. per tutelare i beni immateriali dell’impresa[26].
Riferimenti bibliografici
Del Punta Riccardo, La nuova disciplina dei controlli a distanza sul lavoro, (art.23, d.lgs. n. 151/2015), in Rivista italiana di diritto del lavoro, n. 1, 2016, p. 77 ss.
Iaquinta Francesca, Ingrao Alessandra, La privacy e i dati sensibili del lavoratore legati all’utilizzo di social networks. Quando prevenire è meglio che curare, in Diritto delle Relazioni Industriali, 2014, 1027.
Ingrao Alessandra, Il controllo a distanza realizzato mediante Social network, in Labour and Law Issues, vol. 2, no. 1, 2016.
Ricci Alessandro, Il controllo informatico a distanza sul lavoratore fra giurisprudenza e Jobs Act. La web-sorveglianza nella modernità liquida, in Studium Iuris, IV, 2016.
Tucci, Garante per la protezione dei dati personali, in Foro Italiano, 2007, III, 214.
Tullini Patrizia, Comunicazione elettronica, potere di controllo e tutela del lavoratore, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2009, I, 485.
Tullini Patrizia, Videosorveglianza a scopi difensivi e utilizzo delle prove di reato commesso dal dipendente, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2011, II, 89.
Giurisprudenza
Cass. 9 marzo 2016, n. 4633, in ll giuslavorista, 14 marzo 2016.
Trib. Bergamo, ord. 24 dicembre 2015, in il giuslavorista, 11 gennaio 2016, con nota redazionale.
Cass. 27 maggio 2015, n. 10955 in Foro Italiano, 2015, I, 2316.
Cass. civ. sez. lav., 11 agosto 2014, n. 17859, caso riportato anche da Luigi Manna, L’uso imprudente di Facebook e di Internet può far licenziare un dipendente? Si, secondo il Tribunale di Milano, in www.diritto24.it , 16 ottobre 2014.
Trib. Milano, ordinanza, 1 agosto 2014, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2014, con nota di Francesca Iaquinta, Alessandra Ingrao, Il datore di lavoro e l’inganno di Facebook.
Trib. Milano, sez. lav., 1 agosto 2014, n. 6847, con commento di Alessandro Ricci, in Il controllo informatico a distanza sul lavoratore fra giurisprudenza e Jobs Act. La web-sorveglianza nella modernità liquida, in Studium Iuris, IV.
Cass. 1 ottobre 2012, n. 16622, in Foro Italiano, 2012, I, 3328.
Cass. 23 febbraio 2012, n. 2722, in Foro Italiano, 2012, I, 1421.
Cass. 23 febbraio 2010, n. 4375, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2010, II, 564.
Cass. pen. 1 luglio 2008, n. 31392, in Guida al diritto, 40, 2008, p. 87.
Cass. 17 luglio 2007, n. 15892, in Rivista giuridica del Lavoro e della previdenza sociale, 2008, 358 e in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2008, 718, con nota di Maria Luisa Vallauri.
Cass. 3 aprile 2002, n. 4746, Rivista giuridica del Lavoro e della previdenza sociale, 2002, 642 e in Massimario della giurisprudenza del lavoro, 2002, 644, con nota di Emil Bertocchi.
[1] Cfr. Enciclopedia giuridica Treccani, Social network, http://www.treccani.it/enciclopedia/social-network/
[2] I Social network sono servizi offerti da società operanti su scala mondiale per consentire alle persone di interagire virtualmente tra loro. In ossequio alla Direttiva 98/34/CE, i fornitori dell’utenza, sono inquadrabili giuridicamente tra i servizi della società dell’informazione. Se il Social è idoneo a garantire funzioni di comunicazione elettronica, consentendo all’utente di inserire contenuti da lui stesso creati, ad esso devono essere applicate anche le disposizioni della Direttiva 2002/58/CE concernente la vita privata e le comunicazioni elettroniche.
[3] Francesca Iaquinta, Alessandra Ingrao, La privacy e i dati sensibili del lavoratore legati all’utilizzo di social networks. Quando prevenire è meglio che curare, in Diritto delle Relazioni Industriali, 2014, 1027.
[4] Cfr. Cass. 27 maggio 2015, n. 10955, in Foro Italiano, 2015, I, 2316, secondo cui è legittimo il controllo a distanza, effettuato mediante la creazione di un profilo fake di Facebook per tentare il lavoratore all’attività di chat; quando tale controllo sia volto ad accertare un comportamento “lesivo del patrimonio aziendale, sotto il profilo del regolare funzionamento e della sicurezza degli impianti”.
[5] Cfr. Cass. 3 aprile 2002, n. 4746, Rivista giuridica del Lavoro e della previdenza sociale, 2002, 642 e in Massimario della giurisprudenza del lavoro, 2002, 644, con nota di Emil Bertocchi; Cass. 17 luglio 2007, n. 15892, in Rivista giuridica del Lavoro e della previdenza sociale, 2008, 358 e in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2008, 714, con nota di Maria Luisa Vallauri; Cass. 23 febbraio 2010, n. 4375, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2010, II, 564; Cass. 23 febbraio 2012, n. 2722, in Foro Italiano, 2012, I, 1421.
[6] Cfr. Relazione del Garante Privacy per il 2010, p. 112, ove è segnalato il caso di un lavoratore licenziato a causa dell’utilizzo di Facebook: il dipendente aveva pubblicato nel proprio profilo visibile agli “amici degli amici” alcune foto scattate nei locali aziendali, con sullo sfondo visibili disegni coperti, secondo l’azienda, da segreto industriale.
Tali prove venivano dichiarate acquisite lecitamente e conseguentemente utilizzabili perché il profilo del lavoratore era potenzialmente visibile da una cerchia indeterminabile di utenti (per l’appunto “gli amici degli amici”).
Nello stesso senso, cfr. Trib. Milano, ordinanza, 1 agosto 2014, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2014, con nota di Francesca Iaquinta, Alessandra Ingrao, Il datore di lavoro e l’inganno di Facebook.
[7] Cfr. Patrizia Tullini, Videosorveglianza a scopi difensivi e utilizzo delle prove di reato commesso dal dipendente, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2011, II, 89. L’autrice evidenzia che, nella maggior parte dei casi concreti, l’interferenza tra illecito ed inadempimento «esiste ed è ineliminabile».
[8] Cfr. Alessandra Ingrao, Il controllo a distanza realizzato mediante Social network, in Labour and Law Issues, vol. 2, no. 1, 2016. L’autrice offre notevoli spunti sostenendo che “La tecnologia del web 2.0 è certamente un potente alleato del controllante. Le sue caratteristiche tecniche, sopra esaminate, permettono di individuare da quale luogo e in quale fascia oraria l’utente è connesso, consentono di incamerare tracce, indizi e di procurarsi prove dell’adempimento o dell’inadempimento del lavoratore. E uno degli elementi più rilevanti, per chi la utilizza, è che il controllo ha un costo pari a zero e che l’utilizzo dei Social è facile e accessibile anche per il “bonus prudens diligens pater familias” di antica memoria. Non solo. I dati e le informazioni incamerati all’interno del Social, restano memorizzati nella piattaforma digitale, indipendentemente dal fatto che la persona si serva di un pc, smartphone o tablet di proprietà aziendale. Ed infatti, la funzione di controllo sul Social si attiva a prescindere dalla proprietà del device da cui si accede alla piattaforma”.
[9] Cfr. fra le tante, Cass. 3 aprile 2002, n. 4746, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, 2002, 642; Cass. 17 luglio 2007, n. 15892, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, 2008, 358 e in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2008, 714; Cass. 23 febbraio 2010, n. 4375, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2010, II, 564; Cass. 23 febbraio 2012, n. 2722, in Foro Italiano, 2012, I, 1421; Cass. 1 ottobre 2012, n. 16622, in Foro Italiano, 2012, I, 3328; Cass. 27 maggio 2015, n. 10955 in Foro Italiano, 2015, I, 2316.
[10] Cfr. Alessandra Ingrao, Il controllo a distanza realizzato mediante Social network, op.cit.
La spiegazione di questo fenomeno è data dalla progressiva dilatazione degli obblighi di natura accessoria che nascono dal contratto di lavoro, compiuta dalla giurisprudenza. L’effetto di una simile interpretazione si avverte nella trasformazione di illeciti del prestatore di lavoro, astrattamente sussumibili nell’art. 2043 c.c., in fatti di inadempimento contrattuale. Per esemplificare, si pensi alla dilatazione del contenuto dell’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c..
La giurisprudenza a partire dal leading case Cass. 25 febbraio 1986, n. 1173, in Foro Italiano,1986, I, 1877 ha accolto una nozione estesa degli obblighi di cui all’art. 2105 c.c., ricomprendendovi anche comportamenti ulteriori che «contrastino con le finalità e gli interessi dell’impresa». Questa estensione dell’obbligo legale viene argomentata facendo leva su concetti eterogenei come la fiducia, la lealtà, la correttezza e la buona fede nell’esecuzione del contratto Da ultimo v. Cass. 9 marzo 2016, n. 4633, in ll giuslavorista, 14 marzo 2016, secondo cui il «lavoratore è assoggettato non solo all’obbligo di rendere la prestazione, bensì anche all’obbligazione accessoria di tenere un comportamento extralavorativo che sia tale da non ledere né gli interessi morali e patrimoniali del datore di lavoro né la fiducia che in diversa misura e in diversa forma, lega le parti del rapporto di durata».
[11] Ibidem. Senza pretesa di completezza, l’Autrice pone in luce riflessioni per cui “si dubita... della bontà dell’affermazione della Corte”. Prosegue, infatti, sostenendo che “l’escamotage rappresentato dalla creazione di un profilo fake costituisce una indebita intrusione nella sfera giuridica di riservatezza e privacy del lavoratore, protetta non solo dalle norme statutarie ma anche da quelle che disciplinano la materia della privacy. In secondo luogo, tale condotta pare integrare una violazione dei principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto, soprattutto quando il titolare del profilo abbia deciso consapevolmente di utilizzare impostazioni di privacy del profilo tali da restringere la cerchia delle persone che possono accedervi”.
Inoltre un simil controllo rappresenta una sorveglianza pura ed esclusiva sull’adempimento della prestazione, nella misura in cui, “sotto l’egida dell’esigenza di tutela del patrimonio aziendale”, la Suprema Corte cela la vera sostanza del controllo, vale a dire la verifica del comportamento non diligente di un lavoratore che abbandona le apparecchiature di lavoro per socializzare sui vari Social network.
[12] Trattasi dei principi di trasparenza, informazione, consapevolezza, proporzionalità, necessità, finalità, etc.
[13] Chiaro riferimento al particolare rilievo che assumono le Linee guida del Garante per la posta elettronica ed internet, già più volte citate, emanate con Delibera del Garante il 1 marzo 2007, n. 13, pubblicate in Gazzetta Ufficiale il 10 marzo 2007. Sul punto cfr. Patrizia Tullini, Comunicazione elettronica, potere di controllo e tutela del lavoratore, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2009, I, 485; cfr. anche Tucci, Garante per la protezione dei dati personali, in Foro Italiano, 2007, III, 214.
[14]Riccardo Del Punta, La nuova disciplina dei controlli a distanza sul lavoro, (art.23, d.lgs. n. 151/2015), in Rivista italiana di diritto del lavoro, n. 1, 2016, p. 77 ss.
[15]Alessandra Ingrao, Il controllo a distanza realizzato mediante Social network, op.cit. in particolare l’Autrice richiama in relazione a tale riflessione, un caso della giurisprudenza francese: M. Degeorges, Tweeter au travail est-il passible de licenciement?, in www.Les Echos.fr, 6 marzo 2016 (http://m.lesechos.fr/redirect_article.php?id=021743014033#, ultimo accesso : 19 marzo 2016), riguardante il recentissimo caso di un lavoratore francese che twittava durante l’orario di lavoro dallo smartphone aziendale. Il giudice, calcolatrice alla mano, ha stabilito però che il licenziamento (irrogato per colpa grave) era illegittimo in quanto 4 tweet al giorno sono “tollerabili” per il datore di lavoro visto che il lavoratore perde circa un minuto per eseguirne uno.
[16] Non è necessario che il lavoratore utilizzi un pc aziendale, poiché il profilo della piattaforma sociale è online, quindi accessibile da qualsiasi dispositivo ed in qualsiasi luogo.
[17] Si vedano gli Autori richiamati nelle precedenti note.
[18] Riccardo Del Punta, La nuova disciplina dei controlli a distanza sul lavoro, (art.23, d.lgs. n. 151/2015), op. cit.; Alessandra Ingrao, Il controllo a distanza realizzato mediante Social network, op.cit.
[19] In tal senso v. Consiglio d’Europa, Raccomandazione CM/Rec(2015)5 del Comitato dei Ministri agli Stati Membri “on processing of personal data in the context of employment”, adottata il 1 aprile 2015 e reperibile sul portale www.coe.int.
“The content, sending and receiving of private eletronic communications at work should not be monitored under any circumstances”.
[20] L’esercizio del potere di controllo a distanza di tipo successivo sul singolo dipendente deve essere una scelta estrema, di seguito al fallimento di altre modalità di sorveglianza che non coinvolgano dati del singolo lavoratore. Si ritiene che il datore debba analizzare dapprima i dati aggregati che garantiscono l’anonimato del singolo e, solo successivamente al riscontro di continue anomalie e irregolarità nell’utilizzo della strumentazione informatica, previo avviso generalizzato, procedere nello svolgere indagini individuali sul singolo.
[21] Risulta utile portare un esempio concreto di una fattispecie rispondente alla suddetta descrizione: cfr. Trib. Milano, sez. lav., 1 agosto 2014, n. 6847, con commento di Alessandro Ricci, in Il controllo informatico a distanza sul lavoratore fra giurisprudenza e Jobs Act. La web-sorveglianza nella modernità liquida, in Studium Iuris, IV, 2016, p. 443 ss.
Trattasi, in breve, del rigetto di un ricorso di un dipendente licenziato per giusta causa dalla propria azienda, per ragioni connesse all’utilizzo di Facebook sul luogo di lavoro.
Anzitutto preme sottolineare che la pronuncia si pone in perfetta linea con l’orientamento consolidato dalla Suprema Corte in ordine alla legittimità del licenziamento per giusta causa per uso improprio della rete Internet aziendale: ex multis Cass. civ. sez. lav., 11 agosto 2014, n. 17859, caso riportato anche da Luigi Manna, L’uso imprudente di Facebook e di Internet può far licenziare un dipendente? Si, secondo il Tribunale di Milano, in www.diritto24.it , 16 ottobre 2014.
Ritornando al caso di specie, il dipendente, in orario di lavoro, all’interno di un’unità produttiva dell’azienda, aveva scattato alcuni fotogrammi ritraenti sè stesso ed alcuni colleghi, e aveva proceduto a pubblicarli su Facebook accompagnandoli con commenti profondamente denigratori ed offensivi dell’immagine aziendale “come si lavora nell’azienda di merda”.
Il giudice ha ritenuto che la condotta del lavoratore configurasse una palese violazione dei più elementari doveri di diligenza, lealtà e correttezza, ciò che “la coscienza sociale considera il minimum etico”, secondo la consolidata giurisprudenza.
La difesa del dipendente aveva eccepito che le foto non erano state pubblicate sul sito online dell’azienda e che i post offensivi non recavano la denominazione della società.
Il Tribunale, in risposta, osservava come le foto pubblicate, fossero accessibili a tutti, dunque anche alla cerchia di conoscenze più strette, in grado, di associare tale pubblicazione alla società stessa.
Poiché resa, tale pronuncia, in sede di giurisdizione del lavoro, la suddetta, non approfondisce il connesso profilo penalistico, relativo alla diffamazione su Internet: l’art 595 comma terzo c.p, configura addirittura la diffamazione aggravata in quanto commessa con altro mezzo di pubblicità.
Senza pretese di completezza, in proposito, Cass. pen. 1 luglio 2008, n. 31392, in Guida al diritto, 40, 2008, p. 87, ha sottolineato che “essendo Internet un potente mezzo di diffusione di notizie, immagini, ed idee (almeno quanto la stampa, la radio e la televisione) anche attraverso tale strumento di comunicazione si estrinseca il diritto di esprimere le proprie opinioni, tutelato dall’art. 21 Cost., che, per essere legittimo, deve essere esercitato rispettando le condizioni ed i limiti dei diritti di cronaca e di critica”.
[22] Cfr. Trib. Milano, ordinanza, 1 agosto 2014, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2014, con nota di Francesca Iaquinta, Alessandra Ingrao, Il datore di lavoro e l’inganno di Facebook, op. cit.
[23] In senso contrario Trib. Bergamo, ord. 24 dicembre 2015, in il giuslavorista, 11 gennaio 2016, con nota redazionale, Immagini sconvenienti su facebook: la vita virtuale influisce sul rapporto di lavoro: “postare immagini su Facebook equivale, infatti, nella buona sostanza ad inviarle alle persone del proprio circolo di amicizie. La facilità di accesso alle caselle dei colleghi e degli amici, quando anche non sia stata chiesta o concessa una preventiva amicizia, è oramai un fatto notorio”.
[24] Alessandra Ingrao, Il controllo a distanza realizzato mediante Social network, op.cit.
[25] Alessandro Ricci, Il controllo informatico a distanza sul lavoratore fra giurisprudenza e Jobs Act. La web-sorveglianza nella modernità liquida, in Studium Iuris, IV, 2016.
[26] Alessandra Ingrao, Il controllo a distanza realizzato mediante Social network, op.cit.