Sommario: 1. Dal telelavoro al lavoro agile; 2. Definizione e disciplina; (Segue). Forma e recesso; 3. Lavoratore agile: retribuzione “base” e premi di risultato; 4. Il potere di controllo del datore di lavoro; 5. Smart working e tecnologie: policies aziendali; 6. Conclusioni.
1. Dal telelavoro al lavoro agile
Il disegno di legge AS 2233 recante “misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, è stato comunicato alla Presidenza del Senato, ad iniziativa del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, in data 8 febbraio 2016; in data 3 febbraio, corrente anno, era stato comunicato alla Presidenza il disegno di legge AS 2229 a prima firma Sacconi recante “Adattamento negoziale delle modalità di lavoro agile nella quarta rivoluzione industriale”[1].
Entrambi i disegni di legge perseguono ambiziosamente il comune obiettivo di valorizzazione della sinergia del nuovo archetipo di sviluppo economico con quelli dello sviluppo sociale nella piena considerazione di tutte le persone. Entrambi non riaprono il cantiere delle riforme del lavoro ma perseguono lo scopo di sostenere ed integrare il vigente quadro regolatorio con soluzioni utili a favorire l’incontro tra imprese e lavoratori[2].
Si tratta di un intervento in larga parte ispirato al ddl. n. 2014 del 2014, c.d. ddl. Mosca che, sensibile alle esigenze di conciliazione tra “i tempi di vita” e gli orari di lavoro, mirava a superare, in via derogatoria, alcuni vincoli giuridici alla diffusione del c.d. smart working.
Preannunciata dal Presidente del Consiglio in sede di approvazione della legge di stabilità 2016, la seconda parte del provvedimento AS 2233 (Capo II, artt. 13-22) reca diposizioni in materia di lavoro agile, che non consiste in una nuova tipologia contrattuale, bensì in una modalità flessibile di svolgimento del rapporto di lavoro subordinato quanto ai luoghi e ai tempi di lavoro, fine a regolare forme innovative di organizzazione del lavoro.
La definizione di lavoro agile contenuta nel progetto governativo, precisamente, all’art. 1 comma 2, è articolata attraverso 3 lettere che configurano le modalità con cui “la prestazione di lavoro subordinato” deve svolgersi per essere definita lavoro agile. Si tratta di: “a) esecuzione della prestazione lavorativa svolta solo in parte all’interno dei locali aziendali e con i soli vincoli di orario massimo derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva; b) possibilità di utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa; c) assenza di una postazione fissa durante i periodi di lavoro svolti al di fuori dei locali aziendali”.[3]
La finalità primaria che si intravede in tale progetto coincide con la volontà di rispondere ai radicali mutamenti indotti dalla diffusione di sempre nuove tecnologie che interessano il modo di lavorare.
Si è visto come da tale esigenza sia nata, in passato, la nozione di telelavoro: è bene, tuttavia, precisare il lavoro c.d. agile non si pone come una nuova forma di telelavoro.
Una prima differenza di fondo tra le due forme di lavoro appare “di natura concettuale”: il passato telelavoro (o lavoro c.d. flessibile) era stato concepito nell’idea di una semplice traslazione delle modalità lavorative aziendali presso l’abitazione del telelavoratore, utilizzando, in linea di principio, un dispositivo a postazione fissa, che consentisse la “connessione” all’impiego lavorativo (anche se non strettamente presso la realtà abitativa del lavoratore, si è parlato di un costante distacco dalla realtà organizzata aziendale).
Lo Smart working intende perseguire la valorizzazione del lavoro al di fuori dei locali aziendali, rivedendo radicalmente il canonico modus lavorandi (in termini di tempi, orari, controllo esercitato dal datore, sicurezza ecc...) e, soprattutto orientando l’impiego e la prestazione sulla focalizzazione di obiettivi e risultati (e sulla misurazione degli stessi).
È stato definito, tra i commentatori, come “una una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare in ambito lavorativo, a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Non è, quindi, un inedito lavoro atipico per i giovani e nemmeno una nuova parola per indicare il telelavoro.”[4]
La traduzione di quanto appena delineato è raffigurata dalla smaterializzazione della classica postazione di lavoro, da un orario effettivo di lavoro che, in teoria, è suscettibile di essere spalmato nell’arco delle 24 ore ed, appunto, dalla caratterizzazione del lavoro sempre più puntato al risultato finale, per cui il salario viene necessariamente correlato ad esso (l’elemento retributivo dovrebbe essere, infatti, connesso alla produttività e ai risultati specifici).[5]
Il tutto in un’ottica di flessibilità che garantisca efficienza e qualità delle prestazioni[6].
Inoltre, marcata differenza che caratterizza il lavoro agile rispetto al tradizionale telelavoro è la assenza, in relazione al secondo, di un quadro normativo specifico.
Se si eccettua il settore pubblico, come si è visto in precedenza, il telelavoro si applica sulla base di accordi collettivi aziendali e nazionali tesi a specificare le disposizioni di senso generale contenute nell’Accordo Quadro del 2004, emanato in ricezione del precedente Accordo quadro europeo sul telelavoro del 2002[7].
2. Definizione e disciplina
Concentrandoci sulla disciplina posta a definizione dello smart working in quanto forma di lavoro[8], questo è definito dal primo comma dell’art 13 del disegno di legge governativo AS 2233 quale “modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, allo scopo di incrementarne la produttività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”.
Opportuna la precisazione circa la natura del lavoro agile quale “modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro”, importante in termini di certezza del diritto, “perché esclude che il lavoro agile concreti una nuova categoria di rapporti tra datori di lavoro e lavoratori, con tutte le conseguenti incertezze applicative”.[9]
Tuttavia il riferimento esclusivo al lavoro subordinato ha indotto parte della dottrina a ritenere come il lavoro agile nasca già con un vizio d’origine, ossia quello di essere legato ad un modello storico, quello del lavoro subordinato (in linea con la precedente proposta di legge AC 2014 Mosca-Ascani), che mostra sempre più i suoi limiti nell’interpretare l’evoluzione del mercato del lavoro.[10]
Il nodo reale è rappresentato dal cambiamento dei modelli organizzativi e imprenditoriali rispetto ai quali la figura del lavoratore subordinato, come delineata dal codice civile (articolo 2094), permane un “mero esecutore materiale di ordini e direttive del datore di lavoro a cui è affidato il potere di controllo e sanzionatorio e di cui il licenziamento è la massima espressione”[11].
Il lavoro c.d. agile prevede, quindi, l’adempimento di una prestazione di lavoro subordinato che si svolge in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno[12], ed entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, stabiliti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
Si ritiene non vi sia alcun vincolo di ripartizione percentuale dell’orario spendibile al di fuori dei locali aziendali rispetto all’orario normale.
Escluso che il riferimento ai vincoli di durata massima dell’orario di lavoro abbia natura derogatoria (la normativa di riferimento è contenuta nel decreto legislativo 66/2003 adottato in attuazione di direttive europee), deve assumersi la sua mera natura definitoria[13].
Sembra plausibile, tuttavia, un’interpretazione secondo cui la somma del tempo tra lavoro in modalità agile ed in modalità ordinaria non debba superare i limiti complessivi dell’orario di lavoro stabilito ex lege od CC.
Un’interpretazione differente, peraltro, potrebbe costituire un eventuale disincentivo alla sua diffusione, poiché non poche prestazioni lavorative sono ancora destinate a svolgersi in tempistiche predeterminate e sostanzialmente fisse; una definizione tanto strutturata si pone in contrasto con il “carattere sperimentale dei programmi di lavoro agile e con la sua rilevanza organizzativa”, basati sulla piena adesione e fiducia tra le parti, con un ventaglio di soluzioni tale da rispondere a necessità ed esigenze diverse[14].
Circa il luogo di svolgimento della prestazione è opportuno segnalare come la memoria della Vodafone presentata alla XI Commissione Lavoro Senato evidenzi, sulla base della esperienza maturata pressa la medesima azienda, come lo smart working sia “una modalità di svolgimento della prestazione lavorativa che avviene esclusivamente all’esterno dei locali aziendali. Gli obiettivi di economicità (costo benzina e perdita di tempo per gli spostamenti da e verso le sedi aziendali), risparmio e benefici ambientale si raggiungono, infatti, solo con la modalità prevista dello svolgimento dell’attività lavorativa all’esterno dei locali aziendali”[15].
(Segue). Forma e recesso
Su “forma e recesso” dell’accordo che determina e regola la modalità di svolgimento del rapporto di lavoro in regime di smart working, delucidazioni provengono direttamente dall’art. 14 del ddl. AS 2233, rubricato, appunto, come “forma e recesso”:
Le caratteristiche dell’accordo, desumibili dalla norma, sono le seguenti: anzitutto, l’accordo per il lavoro agile deve essere stipulato ad substantiam per iscritto, inoltre, la regolamentazione pattizia concerne la sola prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali; tale regolamentazione può riguardare anche forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro, gli strumenti utilizzati dal lavoratore, orario di lavoro e tempi di riposo; ed, infine, l’accordo può essere stipulato a tempo determinato o indeterminato.[16]
La previsione della forma scritta ad substantiam è stata oggetto di perplessità da parte di imprese, direttamente interessate nell’applicazione di una simile modalità di lavoro per i propri dipendenti.
In particolare nella memoria presentata alla XI Commissione Lavoro Senato dalla Vodafone si legge che “il fatto che la possibilità di svolgere il lavoro in modalità smart working debba passare da un accordo avente forma scritta, nel quale devono essere dettagliati i contenuti, diventa un inutile appesantimento gestionale. Appare preferibile prevedere la possibilità di optare per una forma equipollente e, coerentemente ai presupposti del lavoro agile, legata alle tecnologie: ad esempio, chiedere anche attraverso un tool online l’adesione alla modalità smart working. Inoltre, rispetto ai contenuti, per evitare inutili appesantimenti e burocrazia, sembrerebbe anche sufficiente un semplice rinvio alla lettera di assunzione e del CCNL”[17].
Sul recesso dalla modalità di svolgimento smart del rapporto di lavoro, tuttavia, non si gode di totale libertà, ma si ritiene debba soggiacere all’esistenza di un “giustificato motivo” nel caso di scadenza anticipata, in caso di accordo a tempo determinato, o recesso senza preavviso, in caso di accordo a tempo indeterminato.
3. Lavoratore agile: retribuzione “base” e premi di risultato
Rivolgendo l’opportuna attenzione alla disciplina di cui trattasi, il lavoro agile si mostra in grado di apportare notevoli vantaggi al lavoratore, se si considera il profilo della conciliazione dei tempi di vita e lavoro ed anche il profilo economico: si pensi alla possibilità di concordare specifiche indennità connesse alla specificità della prestazione, mirandosi al risultato della stessa. Tutte queste circostanze fanno supporre una predisposizione, non senza fondamento, da parte del datore di un foglio firmato in bianco dal lavoratore, da impiegare ai fini del recesso se la modalità lavorativa concordata non dovesse rispondere alle sue intenzioni o, in alternativa, dovesse divenire troppo costosa.[18]
In verità se la modalità di svolgimento “agile” del lavoro rappresenta, all’atto di assunzione, una delle condizioni principali che giustificano l’inizio del rapporto di lavoro (le caratteristiche dell’azienda prediligono l’impiego di prestazioni lavorative rese “agilmente”), il datore di lavoro può proporre, con il consenso del lavoratore, di iniziare il rapporto di lavoro solo in certezza di previsioni, messe per iscritto, regolatrici dei casi in cui si verifichi la cessazione dell’esigenza smart (pero una od entrambe le parti) determini, come conseguenza inevitabile, la cessazione del sottostante rapporto di lavoro subordinato.
Per cercare di offrire un quadro quantomeno completo sulla disciplina dello smart working, sul trattamento retributivo del lavoratore agile, l’art. 15 del ddl AS 2233 stabilisce che il lavoratore “agile” ha diritto ad un trattamento economico e normativo equiparato a quello applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda.
Dall’applicazione pratica di tali regole nella contrattazione aziendale si è notata la tendenza a negare la corresponsione al lavoratore “agile” di trattamenti compensativi, quali indennità di missione, pendolarismo etc., nonché il pagamento dei buoni pasto; restano invece immutati gli istituti delle ferie, permessi etc[19].
La legge di Stabilità per il 2016 (legge 208/2015), precedentemente citata, ai commi da 182 a 189, ha introdotto, in via permanente, una disciplina tributaria specifica per le retribuzioni dei lavoratori dipendenti privati di ammontare variabile corrisposti a seguito di incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, misurabili e verificabili, nonché per le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa.[20]
In ogni caso, il decreto interministeriale statuisce che “i premi di risultato” sono quelli cui i contratti territoriali di cui all'articolo 51 del d. lgs. 81/2015 legano “la corresponsione di premi di risultato di ammontare variabile nonché i criteri di individuazione delle somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa”.
Per premi si intendono quelli consistenti in somme di ammontare variabile la cui corresponsione sia legata a incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione.[21]
Alla luce di ciò, pertanto, si ritiene che tali erogazioni siano in misura non fissa correlate al miglioramento dei risultati aziendali[22].
4. Il potere di controllo del datore di lavoro
Con l’articolo 16, il ddl. AS 2233, focalizza la propria attenzione sulla questione di diritto che ha ispirato lo studio condotto sin ora: problematica di primaria importanza che investe soprattutto i rapporti di lavoro resi al di fuori dei locali aziendali, ossia l’esercizio del potere di controllo da parte del datore di lavoro sulla prestazione resa ed in generale sull’attività di lavoro del dipendente.
Dalla lettera dell’articolo riportato, si può agevolmente notare un rimando in toto alla disciplina posta a tutela dei controlli a distanza dei lavoratori di cui all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori “...e successive modificazioni”.
Data la riforma dell’art. 4 St. lav., sostituito integralmente dall’art. 23 del d. lgs. 151/2015, si intende ovvio l’integrale rimando anche al nuovo quadro giuridico, per la definizione dei confini entro cui il datore di lavoro può legittimamente muoversi nell’esercitare il proprio potere di controllo.
Fondamentale sottolineare che la lettera dell’art. 23 d. lgs. 151/2015, opera un rinvio esplicito al Codice della privacy con riferimento al rispetto dei principi generali dettati da quest’ultimo ai fini del trattamento dei dati, e, soprattutto, in relazione ai principi ed alle tecniche redazionali di corrette informative e policies aziendali, che vedono come destinatari i lavoratori e soprattutto la loro consapevolezza nell’utilizzo degli strumenti aziendali.
Su quest’ultimo punto, con riferimento al circoscritto campo dello smart working, viene in ausilio l’art. 17 del ddl. AS 2233, esplicando che il datore di lavoro deve predisporre misure idonee a garantire la protezione dei dati utilizzati ed elaborati dal lavoratore in modalità di lavoro agile; il lavoratore è tenuto alla diligente custodia degli strumenti tecnologici messi a sua disposizione ed è responsabile della riservatezza dei dati cui può accedere tramite l’uso di tali strumenti.
Tale norma ribadisce il generale “obbligo di riservatezza” già previsto dall’art. 2105 c.c. laddove si stabilisce il dovere del dipendente alla non divulgazione di notizie riguardanti l’organizzazione aziendale ed i mezzi di produzione, oppure di farne un uso tale da recare pregiudizi all’impresa.
La ratio è rinvenibile nella esigenza di tutelare l’azienda nei confronti della concorrenza, che potrebbe essere agevolata dalla conoscenza dei meccanismi e processi produttivi[23].
La violazione del dovere di riservatezza, quindi, espone il dipendente a conseguenze drastiche per il rapporto di lavoro, in termini di responsabilità disciplinare, fino al licenziamento, nonché risvolti sul piano penale, in materia di rivelazione di documenti segreti, segreti professionali e segreti scientifici[24].
5. Smart working e tecnologie: policies aziendali
L’impiego di tecnologie digitali riveste un ruolo fondamentale esplicazione della nuova modalità di lavoro agile: tali consentono di ampliare e rendere virtuale lo spazio di lavoro, consentendo la comunicazione, collaborazione e socializzazione indipendenti da orari e luoghi di lavoro, presupposti logici per lo sviluppo dello smart working.
Attenzione primaria, infatti, deve rivolgersi all’analisi della dotazione tecnologica disponibile per comprendere la fattibilità concreta del progetto e pianificare l’eventuale introduzione di nuovi strumenti in azienda.
Spesso, in passato, vi è stata l’azzardata predisposizione di progetti di introduzione di tecnologie informatiche, avviati e valutati senza tenere in considerazione i possibili impatti sull’organizzazione aziendale.
La vera criticità, infatti, non attiene alla scelta ed all’introduzione di nuovi strumenti, bensì al modo in cui questi possano essere efficacemente adottati, influenzando in positivo il modus lavorandi “e creando nuove opportunità di relazione e collaborazione più mature e coinvolgenti”[25].
Chiaro che accanto all’introduzione di nuove tecnologie digitali si deve promuovere lo sviluppo coerente e sinergico di una cultura manageriale dinamica: sarà necessaria la ferma capacità di gestire le riunioni siano esse in presenza fisica dei lavoratori, o virtuali, attraverso apposite piattaforme di connessione, mantenendo la medesima efficacia e senza discriminare chi non è fisicamente presente al meeting, qualora fossero addirittura miste (intendendosi per tali, riunioni con parte dei dipendenti fisicamente presenti in sala e parte in connessione video).
A tal punto, conviene centrare il focus di analisi sulle dotazioni che consentono l’esercizio di prestazioni lavorative in modalità “agile”: le Smart Working Technologies.
Intendendosi tutte le tecnologie in grado di permettere alle persone di lavorare in modo flessibile all’esterno, ma anche all’interno della struttura aziendale; sulla base di analisi condotte in dottrina, sono state individuate quattro macro-categorie[26]:
Social Collaboration: rientrano tutti gli strumenti che integrano e supportano i flussi di comunicazione creando nuove opportunità di relazione, collaborazione e condivisione della conoscenza come, ad esempio, strumenti di chat istantanee, web-conference, ecc....
Le iniziative di Social Collaboration permettono, inoltre, di limitare le trasferte per incontri in cui non sia fondamentale la presenza fisica, fornendo un’alternativa valida, soprattutto in termini di costi di trasferta risparmiati.
Accessibilità e Sicurezza: tecnologie che permettono di accedere in modo flessibile, semplice e immediato, indipendentemente dal device adottato, a un ambiente profilato che contiene applicativi, dati e informazioni in totale sicurezza e preservando l’integrità dei dati.
In questo gruppo di servizi rientrano sia soluzioni più tradizionali come l’accesso tramite Virtual Private Network sia le soluzioni di virtualizzazione basate sul Cloud.
Nell’implementazione di un progetto di smart working, è fondamentale garantire la presenza di un canale sicuro per accedere anche da remoto volto a garantire la sicurezza dei dati in transito[27].
Mobile Device: dispositivi che, permettendo di accedere ai servizi e strumenti professionali ovunque ed in ogni momento, liberano le persone dalla necessità della “postazione fissa” (ad esempio Notebook, smartphone, etc.) per svolgere il proprio lavoro. I device mobili sono oggi presenti in tutte le aziende, studi legali etc., ma la maggior parte delle volte vengono assegnati in base all’inquadramento professionale e non alle specifiche esigenze organizzative.
Workspace Technology: “tecnologie che permettono un utilizzo più efficace e flessibile degli ambienti fisici agevolando non solo la fruibilità degli spazi stessi, ma anche supportando il lavoro in mobilità delle persone e migliorando la qualità della vita all’interno delle sedi dell’azienda.”
Nell’impiego di tutte le tecnologie sopra citate occorre precipuamente provvedere alla redazione di una specifica ed esaustiva policy aziendale, contenente un regolamento d’utilizzo ed un disciplinare interno.
Regolamento d’utilizzo degli strumenti tecnologici assegnati, volto a delineare le corrette modalità d’uso in correlazione con l’esercizio della prestazione lavorativa, con particolare riguardo alla sicurezza dei dati trattati, e, nondimeno, l’esplicazione di eventuali controlli, e modalità degli stessi, che il datore possa incentivare al fine di verificare il rispetto del plesso di regole predisposte.
Disciplinare interno fine alla pubblicizzazione delle sfumature comportamentali dei dipendenti che, pur non essendo propriamente ligie al rispetto delle norme, non integrano fattispecie di violazioni rilevanti ai fini della corretta condotta lavorativa.
In aggiunta a ciò sarà necessario rendere note le sanzioni disciplinari che conseguono alle violazioni rilevanti: si suole ritenere che corretta ed efficace sia la previsione di una scaletta, all’insegna della gradualità, che contempli le sanzioni, dalla minima sino al licenziamento, in correlazione con le condotte poste in essere.
6. Conclusioni
Per la corretta redazione della policy aziendale si ritiene, alla luce dello studio condotto e delle considerazioni esposte sin ora, che debba farsi esplicito rinvio alle condizioni poste dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, così come recentemente riformato dall’art. 23 d. lgs. 151/2015.
Tale specificazione risulta di fondamentale importanza, in quanto, in seguito alla riforma della lettera del suddetto articolo, nello stesso, si è operato un rimando primario al rispetto dei principi posti dalla normativa a protezione dei dati personali così come si è avuto modo di evidenziare nel corso della trattazione.
In conclusione, alla luce dell’analisi condotta, si riesce ad affermare che, nonostante i dati statistici non siano in particolar favore sulla diffusione dello smart working in Italia, tuttavia, con la redazione di un codice interno aziendale che sia preciso, completo, ma che soprattutto cerchi di contemplare anche gli spazi in cui il lavoratore agile può muoversi lecitamente, pur discostandosi dallo stringente esercizio della prestazione lavorativa, tale modalità di organizzazione del lavoro può risultare una “sfida avvincente” per rilanciare il mercato del lavoro, corroborata da regole definite, nel rispetto delle esigenze di entrambe le parti contrattuali, datore di lavoro e lavoratore.
[1] Già nel disegno di legge AS 2229 manifestata attenzione alla caratteristica fondamentale del modo di lavorare smart, quale la responsabilizzazione del lavoratore sul raggiungimento di specifici progetti e programmi di lavoro, è correttamente esplicitata: “In linea con il fine prefigurato, l’articolato disciplina (articolo 1) forme di lavoro sia autonomo che subordinato per progetti o a risultato, rese cioè senza precisi vincoli di orario o di luogo, da soggetti che si avvalgono per la propria prestazione di piattaforme informatiche, strumenti tecnologici anche portatili o sistemi interconnessi”.
[2] Relazione del sen. Maurizio Sacconi ai ddl AS 2233 e AS 2229.
[3] Emanuele Dagnino, Lavoro agile: una questione definitoria, in Bollettino ADAPT, 25 novembre 2015.
[4] Cfr. fra i tanti, Laura di Raimondo, Riorganizzarsi in senso “smart”, le tante piccole rivoluzioni del lavoro agile, in Lavoro Welfare, per un nuovo riformismo, XXI, Gennaio 2016, Edizione Online.
[5] Mariano Corso, Fiorella Crespi, Il framework di riferimento, in Smart Working, Modelli organizzativi e tecnologie, Spazi e normativa, in Dossier Lavoro de Il Sole 24 ore, III, Luglio 2016: “La radice profonda dello Smart Working sta nel superamento di alcuni pilastri dell’organizzazione
tradizionale e nella loro sostituzione con nuovi principi più coerenti con le opportunità offerte dalle nuove tecnologie e le nuove esigenze di individui e organizzazioni. L’organizzazione del lavoro tradizionale fondava la propria efficacia su principi come la gerarchia, la subordinazione, la formalizzazione delle mansioni e la standardizzazione delle attività. Si tratta di principi che tuttora permeano il nostro modo di pensare e formalizzare l’organizzazione del lavoro, ma che non sono affatto assoluti né immutabili.”
[6] Laura di Raimondo, Riorganizzarsi in senso “smart”, le tante piccole rivoluzioni del lavoro agile, in Lavoro Welfare, per un nuovo riformismo, op. cit.
[7] Valerio Marra, Smart working e tecnologie, in Smart Working, Modelli organizzativi e tecnologie, Spazi e normativa, in Dossier Lavoro de Il Sole 24 ore, III, Luglio 2016.
[8] Il termine smart working è stato tradotto con la locuzione italiana di “lavoro agile”, suscitando, sul piano strettamente lessicale, l’apprezzamento della stessa Accademia della Crusca che ha ritenuto l’espressione “lavoro agile” un perfetto equivalente della corrispondente anglosassone, con il vantaggio della maggiore trasparenza. Cfr. Gruppo Incipit presso l’Accademia della Crusca - Comunicato Stampa n. 3, Firenze, 1° febbraio 2016 .
[9] Memoria presentata da Confindustria alla XI Commissione Lavoro Senato.
[10] Antonio Carlo Scacco, Lavoro agile: nozione, obiettivi e contenuti della prestazione, in Smart Working, Modelli organizzativi e tecnologie, Spazi e normativa, in Dossier Lavoro de Il Sole 24 ore, III, Luglio 2016.
[11] Michele Tiraboschi e Francesco Seghezzi, Al Jobs Act mancano l’anima e una visione del lavoro che cambia. Ecco perché rileggere oggi la Grande trasformazione di Polanyi, in Nòva24Ore, 2016.
[12] Come già specificato, tale peculiarità distinguerebbe ulteriormente il lavoro agile dal telelavoro, “che si caratterizza, invece, perché l’attività lavorativa viene regolarmente svolta al di fuori dei locali dell’azienda”: cfr. Memoria Confindustria presentata alla XI Commissione Lavoro Senato, 7.
[13] Emanuele Dagnino, Lavoro agile: una questione definitoria, in Bollettino ADAPT, 25 novembre 2015.
[14] Ibidem.
[15] Contenuti riportati da Antonio Carlo Scacco, Lavoro agile: nozione, obiettivi e contenuti della prestazione, in Smart Working, Modelli organizzativi e tecnologie, Spazi e normativa, op. cit., p. 111.
[16] Alcune organizzazioni sindacali, ed in particolare la CISL, si sono mostrate in disaccordo con l’affidamento al negoziato di accordi individuali delle modalità di svolgimento di lavoro smart, ritenendo opportuna una tale scelta, in via residuale. In particolare si riporta un passaggio della posizione della CISL, espressa nella Memoria presentata alla XI Commissione Lavoro del Senato: “Riteniamo opportuna quindi una riformulazione che affidi il lavoro agile ad un accordo individuale esclusivamente in assenza di contrattazione collettiva (così come accade per le clausole elastiche nel part-time), precisando peraltro che la contrattazione collettiva abilitata è quella di cui all’art. 51 del Dlgs 81/2015”.
[17] Contenuti tratti da Antonio Carlo Scacco, Forma e recesso, la regolamentazione individuale “allargata”, in Smart Working, Modelli organizzativi e tecnologie, Spazi e normativa, op. cit., p. 117.
L’Autore prosegue, a proposito di recesso dalla trattata forma contrattuale, soprattutto in caso sia stipulato un contratto a tempo indeterminato, sollevando considerazioni notevolmente interessanti sulla connessione tra smart working e dimissioni, in particolare con riferimento al pericolo delle cosiddette dimissioni in bianco: alla luce di ciò che stabilisce il secondo comma, nel caso l’accordo sia stipulato a tempo indeterminato, il recesso può avvenire con un preavviso non inferiore a trenta giorni. In presenza di un giustificato motivo, ciascuno dei contraenti può recedere prima della scadenza del termine nel caso di accordo a tempo determinato, o senza preavviso nel caso di accordo a tempo indeterminato.
[18] Ibidem.
[19]Antonio Carlo Scacco, Il trattamento retributivo (e la particolarità degli incentivi di produttività), in Smart Working, Modelli organizzativi e tecnologie, Spazi e normativa, op. cit., p. 120, a mente del quale “Il vero nodo del lavoro agile, e presumibilmente quello che ne determinerà il maggiore o minore successo, è la possibilità di incentivare parte della retribuzione detassando la quota legata strettamente al conseguimento di determinati risultati (cd. premio di risultato)”.
[20] Ibidem.
[21] Ibidem.
[22] Tiziano Treu, Contrattazione di produttività: approvato il decreto, in Guida al Lavoro 13/2016, 12-13, sul punto, rileva che “le prassi finora prevalenti non sono state in questo senso. La possibilità di correggere tali prassi dipenderà dalle volontà delle parti di migliorare la qualità della contrattazione e dalla capacità delle amministrazioni pubbliche di controllare non solo la correttezza letterale degli accordi ma l'andamento effettivo dei premi”.
[23] La giurisprudenza di legittimità tende a interpretare l’obbligo di fedeltà, di cui è parte l’obbligo di riservatezza, in senso estensivo, cfr. tra le tante, Cass. 4 aprile 2005, n. 6957, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2005, II, p. 916: “l‘obbligo di fedeltà - la cui violazione può rilevare come giusta causa di licenziamento - va collegato ai principi generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. e comporta quindi che il lavoratore debba astenersi non solo dai comportamenti espressamente vietati dall’art. 2105 c.c. ma anche da qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le sue possibili conseguenze, risulti in contrasto con i doveri connessi all’inserimento del lavoratore nella struttura e nell‘organizzazione dell’impresa del datore di lavoro o crei situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della medesima o sia comunque idonea a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto di lavoro”.
[24] Antonio Carlo Scacco, Protezione e riservatezza dei dati, custodia degli strumenti informatici, in Smart Working, Modelli organizzativi e tecnologie, Spazi e normativa, op. cit., p. 130.
[25] Laura Fasolo, Le tecnologie digitali, in Smart Working, Modelli organizzativi e tecnologie, Spazi e normativa, , in Dossier Lavoro de Il Sole 24 ore, III, Luglio 2016, p. 40.
[26] Ibidem. L’autrice, sulla base delle esperienze pratiche analizzate, ha riportato tale suddivisione che, compatibilmente con le realtà di inserimento, appare esaustiva.
[27] Ibidem, p. 42, l’autrice sostiene che “Al di là degli strumenti, tuttavia, per tutelare la sicurezza occorre anche formare le persone e renderle pienamente consapevoli dell'importanza di adottare comportamenti corretti anche e soprattutto quando lavorano in contesti di Smart Working, inserendo nelle sessioni formative una parte dedicata alla sicurezza e fornendo periodicamente un’informativa sui rischi”
Cfr. anche Sherif Rizkalla e Fabiano Pinto, Le tecnologie necessarie per lo Smart Working, il loro presente e il loro futuro, in Smart Working, Modelli organizzativi e tecnologie, Spazi e normativa, in Dossier Lavoro de Il Sole 24 ore, III, Luglio 2016, pp. 84-103.