L'enorme eco che ha incontrato presso i media la recente sentenza n. 1355 del 10/2/98 della Corte di Cassazione, in materia di responsabilità della banca per furto in cassette di sicurezza è certamente indice di come sia mutato l'interesse della stampa e della televisione sulla produzione giurisprudenziale. Da qualche tempo infatti possiamo assistere a numerosi interventi sugli organi di informazione in ordine a sentenze spesso molto tecniche e comunque sistematicamente, a ben vedere, diverse quanto a reale contenuto rispetto a quanto indicato negli interventi medesimi.
Secondo taluni ciò è determinato dalla intenzione di tenere 'sotto osservazione' la Magistratura, compito questo senz'altro rientrante nel diritto-dovere che i media hanno di informare e formare la pubblica opinione, a patto, però, che l'informazione sia corretta ed esatta e non, come sovente avviene, fortemente e spesso volutamente travisata.
In realtà, sembra potersi dire che il rinnovato interesse dei media per le vicende giudiziarie, non solo penali, sia determinato da un oggettiva maggior attenzione dell'opinione pubblica all'operato dei giudici, per cui, sostanzialmente, ogni sentenza che abbia un immediato risvolto pratico nella vita di tutti i giorni costituisce, secondo le leggi giornalistiche, una notizia: basti pensare alla quotidiana pubblicazione di sentenze in materia di famiglia.
La sentenza in oggetto, come dicevamo, è indice del mutato interesse perché essa non modifica per nulla i principi già pacifici in materia, statuiti con una serie di decisioni assolutamente identiche dalla stessa Corte di Cassazione, oltre che tranquillamente applicati dai giudici di merito.
Il primo intervento sulla esclusione o limitazione della responsabilità della banca per i furti del contenuto delle cassette di sicurezza si è avuta infatti già con Cass. 29/3/76, n. 1129 (in Foro it., 1976, I, 1531), che ha dichiarato la nullità dell'art. 16 delle norme bancarie uniformi, nella stesura del 1954. Il giudice di legittimità, infatti, evidenziò la natura di clausola di esonero di responsabilità della detta norma e pertanto, applicando senza alcuno sforzo interpretativo l'art. 1229 c.c., ne rilevò la nullità laddove prevedeva la limitazione anche ai casi di responsabilità per dolo o colpa grave. Ad analoghe conclusioni, sempre con riguardo alla clausola ex norme Abi 1954, giunse Cass. 3/11/89, n. 4604 (in Foro it., 1990, I, 1290, con nota di F. Cosentino).
A nulla servì poi la nuova formulazione della detta norma, reintrodotta dall'Abi con gli artt. 2 e 3 delle norme bancarie uniformi approvate con la circolare 28/9/76 ed in vigore dal 3/4/78, poiché non appena la Corte di Cassazione ebbe l'occasione di pronunziarsi sul punto, ribadì la natura di patto di esonero di responsabilità delle clausole riproducenti dette norme e, di conseguenza, nuovamente annullò le clausole stesse ove estendenti l'esonero anche al caso di dolo o colpa grave della banca (Cass. 12/5/92, n. 5617 e 7/5/92, n. 5421, entrambe in Foro it., 1993, I, 879, con nota di F. Caringella; ma anche in Giur. it., 1992, I, 2119, con nota di E. Ntuk; nonché in Giust. civ., 1992, I, 2673, con nota di V. Santarsiere; e in Banca, borsa e tit. cred., 1993, II, 362, con nota di N. Salanitro).
Detto orientamento è stato poi ribadito da Cass. SS.UU. 1/7/94, n. 6225 (in Foro it., 1994, I, 3422, con nota di G. Catalano; anche in Giur. it., 1995, I, 206, con nota di E. Ntuk; ibidem, 800, con nota di E. Scoditi), e quindida Cass. 4/2/95, n. 1339, da Cass. 23/2/95, n. 2067 (in Banca, borsa e tit. cred., 1995, II, 446, con nota di A. Papa), da Cass. 11/8/95, n. 8820.
Una tale messe di sentenze conformi, quindi, non lasciava prevedere agli addetti ai lavori che la recente decisione attirasse così tanto l'interesse degli organi di informazione. Invece non c'è stato giornale che non vi abbia dedicato ampio spazio; addirittura la notizia è stata pubblicata dal Televideo RAI fra quelle principali.
In realtà, come detto, il principio sancito dalla Suprema Corte è già da tempo corrente nella giurisprudenza italiana, il che, indirettamente, è confermato dal fatto che le SS.UU., quando si sono occupate del caso nella citata sentenza 1/7/92, n. 6225, lo hanno fatto non per dirimere un contrasto di giurisprudenza, bensì 'per la particolare importanza della questione', come in punto di fatto recita detta sentenza. Non solo, ma esso, sostanzialmente, è una logica e quasi pedissequa applicazione dei principi generali dell'ordinamento in materia di esonero da responsabilità.
Occorre premettere che il contratto per il servizio di cassette di sicurezza di cui all'art. 1839 c.c. è ormai considerato da dottrina e giurisprudenza come una locatio operis, obbligandosi la banca essenzialmente ad un facere, cioè a predisporre e custodire i locali e garantire l'uso e l'integrità della cassetta. La detta norma, infatti, è chiara: la banca risponde verso l'utente per l'idoneità e la custodia dei locali e per l'integrità della cassetta, salvo solo il caso fortuito (per un esempio di caso fortuito, vedi Cass. 27/7/76, n. 2981, in Foro it., 1976, I, 2090, con nota di G. Niccolini; e anche in Giust. civ., 1976, I, 1756).
Appare quindi chiaro che è un elemento neutro e sostanzialmente irrilevante il contenuto della cassetta di sicurezza in relazione alle prestazioni richieste alla banca. Ciò, dal punto di vista sistematico, appare ovvio, poiché altrimenti non si spiegherebbe il perché della esplicita previsione del servizio delle cassette di sicurezza agli artt. 1839 c.c. ss., poiché, se prestazione della banca non fosse predisporre i locali idonei e garantire l'uso della cassetta, bensì semplicemente custodire la cosa e restituirla, allora alcuna differenza si riscontrerebbe con il contratto di deposito. C'è, quindi, un quid pluris rispetto agli obblighi del custode, che differenzia sostanzialmente l'oggetto dei due contratti. Schematizzando, potremmo dire che nel caso dell'art. 1839 c.c., oggetto della prestazione della banca è garantire che le cassette di sicurezza siano sicure; nel caso dell'art. 1766 c.c., invece, custodire il bene e restituirlo. E' evidente quindi che nel secondo schema esiste un rapporto diretto fra obbligato e bene depositato, nel primo no, per cui il bene stesso resta privo di rilevanza rispetto a tutti gli elementi del contratto.
Se così è, allora, non può dubitarsi che una clausola che vada a limitare il valore dei beni da conservarsi nella cassetta abbia funzione di contenere la responsabilità della banca e non di circoscrivere l'oggetto del rapporto. Dunque deve applicarsi l'art. 1229 c.c., secondo il quale è nullo qualsiasi patto che escluda o limiti preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave, ovvero per i casi in cui il fatto suo o dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di diritto pubblico.
Sempre in via preliminare, occorre poi rilevare che la diligenza della banca nell'adempimento degli obblighi derivanti dal servizio di cassette di sicurezza deve essere valutata in maniera assai rigorosa, dovendosi attendere dalla banca medesima una altissima attenzione nella predisposizione delle misure di sicurezza a tutela delle cassette, proprio perché la causa del contratto deve ravvisarsi appunto nell'elevatissimo livello di garanzia che il sistema bancario offre per la custodia (così Cass. 12/5/92, n. 5617 cit.). Versiamo infatti in ipotesi di diligenza professionale, di cui all'art. 1176, co. 2, c.c., poiché la banca è chiamata ad adempiere una prestazione rientrante nell'esercizio della sua attività professionale.
Allora, premessi tali punti, occorrerà di volta in volta vedere se la perdita ovvero il danneggiamento dei beni conservati nelle cassette di sicurezza sia imputabile a dolo o colpa non lieve (o meglio non lievissima) dell'istituto bancario. Se così risulterà, allora nessun rilievo potrà darsi alla limitazione di cui agli artt. 2 e 3 delle vigenti norme bancarie uniformi.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte nella sentenza che si commenta, la responsabilità della banca era evidente. Infatti la notte fra l'1 e il 2/7/84 ignoti erano penetrati nei locali adibiti a custodia delle cassette di sicurezza senza alcuna effrazione, con chiavi contraffatte, senza che alcun diverso sistema di sicurezza fosse stato predisposto dalla banca, tanto che i malfattori avevano tutto il tempo per aprire le cassette di sicurezza, anche qui con chiavi contraffatte, asportarne integralmente il contenuto e addirittura richiuderle. I giudici di merito avevano quindi facilmente rilevato la responsabilità della banca, consistita appunto nell'aver omesso di adottare tutte le misure opportune per garantire la sicurezza delle cassette di sicurezza. La Corte di Cassazione ha confermato in toto la sentenza di secondo grado. Alla banca non resta che pagare e tentare di modificare le norme interbancarie in maniera più conforme ai principi dell'ordinamento.