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Nuovi principi in materia di adozione di minori

Scritto da Francesca Orlandi

La rilevanza del superiore interesse del minore, alla luce della sentenza della Cassazione, Sez. I Civ., n. 2303/2002.

In materia di adozioni si sono verificati, nel corso degli anni, diversi interventi da parte del legislatore nazionale, finalizzati a garantire un’adeguata tutela ai soggetti coinvolti. Il codice civile del 1942 prevedeva una sola figura di adozione, quella diretta a consentire ad una persona che avesse compiuto i 50 anni, priva di figli, di assumere come figlio una persona, di età inferiore ai 18 anni, cui trasmettere il proprio nome e i propri beni (adoptio naturam imitatur)

Successivamente, con la legge 431/1967, si introdusse un’adozione “speciale” per persone coniugate o conviventi nei confronti di minori di anni 8, privi di assistenza morale e materiale.

Hanno fatto seguito la riforma del diritto di famiglia del 1975 e l’entrata in vigore in Italia nel 1976 della Convenzione internazionale di Strasburgo del 24 aprile 1967 in materia di adozione dei minori (ratificata con legge italiana del 22 maggio 1974, n. 337).

Il provvedimento più recente è la legge 4 maggio 1983, n. 184 (così come modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149) a seguito della quale si possono oggi distinguere quattro diverse forme di adozione:

1.      adozione di persone maggiori di età, disciplinata dal codice civile, artt. 291 e ss.

E’ permessa alle persone che hanno compiuto gli anni 35 e superano di almeno 18 anni l’età di chi essi intendono adottare, purché non abbiano discendenti legittimi o legittimati ovvero, nel caso li abbiano, questi ultimi siano maggiorenni e consenzienti;

2.      adozione dei minori c.d. legittimante, disciplinata dalla L. 184/1983, artt. 6 – 28.

E’ consentita solamente ai coniugi uniti in matrimonio da almeno 3 anni, tra i quali non sussista una separazione nemmeno di fatto e che siano giudicati idonei ad educare ed istruire i minori che intendono adottare, nonché in grado di mantenerli;

3.      adozione dei minori c.d. internazionale, disciplinata dalla L. 184/1983, artt. 29 – 43.

Regola l’adozione di un minore straniero da parte di coniugi italiani residenti in Italia o all’estero;

4.      adozione dei minori in casi particolari, ispirata alle norme codicistiche per l’adozione dei maggiorenni e disciplinata dalla L. 184/1983, artt. 44 – 57.

Si tratta delle ipotesi di adozione:

-         da parte di persone unite al minore (orfano di padre e di madre) da vincolo di parentela fino al sesto grado o da rapporto stabile e duraturo preesistente alla perdita dei genitori;

-         da parte del coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge;

-         quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo (es. minore handicappato)[2].

 

Analizziamo, in questa sede, le due forme di adozione che riguardano i minori di età.

 

 

1. Adozione dei minori c.d. legittimante

Per quanto riguarda l’adozione c.d. legittimante dei minori ci troviamo di fronte ad un procedimento complesso che si articola in più fasi.

Innanzitutto è necessaria la dichiarazione di adottabilità, che è pronunciata dal Tribunale per i minorenni a seguito di una serie di accertamenti dai quali risulti lo stato di abbandono del minore perché privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi (sempre che la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio). Ciò si verifica anche quando il minore si trovi presso istituti di assistenza (pubblici o privati) o comunità di tipo familiare ovvero sia in affidamento familiare.

Lo stato di adottabilità cessa per adozione o per raggiungimento della maggiore età da parte dell’adottando; è anche possibile chiederne la revoca se, successivamente alla pronuncia, siano venute meno le condizioni di abbandono e non sia già in corso l’affidamento preadottivo.

Quest’ultimo costituisce, infatti, la seconda fase del procedimento di adozione.

Dichiarata l’adottabilità, i coniugi interessati devono presentare domanda di adozione al Tribunale per i minorenni specificando l’eventuale disponibilità ad adottare più fratelli o minori handicappati.

Il Tribunale, quindi, svolge delle indagini tese ad accertare la sussistenza dei requisiti richiesti, nonché l’attitudine degli istanti ad educare il minore, la loro situazione personale ed economica, la loro salute, l’ambiente familiare, i motivi per cui essi intendono procedere all’adozione. Infine, ascoltato il minore che abbia compiuto i 12 anni e ottenuto il consenso espresso del minore che abbia compiuto i 14 anni, il Tribunale dispone, in caso di esito positivo, l’affidamento preadottivo determinandone le modalità con ordinanza.

In questa fase i coniugi non hanno la potestà, né la rappresentanza legale del minore e neppure possono amministrare i suoi beni: con l’affidamento, infatti, essi assumono solo i poteri necessari per adempiere al dovere di educare ed istruire il minore.

Decorso un anno dall’affidamento, ascoltati i coniugi, il minore, il PM, il tutore, il giudice tutelare e, se delegati alla vigilanza, i servizi locali, il Tribunale per i minorenni provvede con sentenza in camera di consiglio decidendo di far luogo o meno all’adozione. Tale provvedimento è impugnabile avanti alla sezione per i minorenni della Corte di Appello da parte del PM, degli adottanti e del tutore del minore; avverso la sentenza di secondo grado è ammesso ricorso in Cassazione per motivi di legittimità.

Una volta divenuta definitiva, la sentenza di adozione viene annotata a margine dell’atto di nascita dell’adottato, ad opera dell’ufficiale di stato civile; per effetto dell’adozione, il minore acquista lo stato di figlio legittimo degli adottanti, di cui assume e trasmette il cognome, mentre cessano i suoi rapporti con la famiglia di origine (salvi i divieti matrimoniali di cui all’art. 87 c.c.).

 

 

2. Adozione dei minori c.d. internazionale

Per quanto riguarda l’adozione c.d. internazionale dei minori, la materia è stata di recente riformata con la legge 31 dicembre 1998, recante ratifica ed esecuzione della Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993.

Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un procedimento con più fasi.

Innanzitutto, i coniugi interessati devono presentare una dichiarazione di disponibilità al Tribunale per i minorenni competente per territorio (il Tribunale del distretto in cui si trova il luogo della loro ultima residenza o, in mancanza, il Tribunale di Roma) chiedendo che sia dichiarata la loro idoneità all’adozione.

Il Tribunale, quindi, dopo aver svolto adeguate indagini (avvalendosi anche delle autorità consolari italiane in caso di residenza all’estero degli adottanti) pronuncia l’idoneità con decreto.

Tale provvedimento viene trasmesso immediatamente, con copia della relazione e della documentazione esistente in atti, alla Commissione per le adozioni internazionali (costituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri) la quale collabora con le autorità centrali straniere competenti e vigila sugli enti nazionali autorizzati a svolgere le pratiche di adozione presso i Paesi esteri. E’ a questi enti, infatti, che i coniugi che hanno ottenuto il decreto di idoneità devono conferire l’incarico di curare la procedura di adozione.

La Commissione, ricevuta la documentazione suddetta e valutate le conclusioni dell’ente incaricato, dichiara, in caso di esito positivo, che l’adozione corrisponde al superiore interesse del minore e ne autorizza l’ingresso e la residenza permanente in Italia. Gli uffici consolari italiani all’estero, infine, ricevuta comunicazione formale del provvedimento della Commissione, rilasciano il visto  di ingresso per adozione a beneficio del minore adottando.

A questo punto il minore gode, dal momento dell’ingresso nel territorio del nostro Stato, di tutti i diritti attribuiti al minore italiano in affidamento familiare ed acquista la cittadinanza italiana per effetto della trascrizione del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile (su ordine del Tribunale per i minorenni).

Nel diverso caso in cui l’adozione è pronunciata all’estero bisogna distinguere due ipotesi:

a)      l’adozione è stata pronunciata prima dell’arrivo del minore in Italia. Il Tribunale verifica che nel provvedimento estero risultino le condizioni richieste per le adozioni internazionali dalla Convenzione e che l’adozione non sia contraria ai principi fondamentali che regolano, nello Stato, il diritto di famiglia e dei minori, valutati sempre in relazione al supremo interesse del minore. Se sussistono tutti i presupposti richiesti dalla legge, il tribunale procede ad ordinare la trascrizione del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile nazionale;

b)      l’adozione deve perfezionarsi dopo l’ingresso del minore in Italia. Il Tribunale riconosce il provvedimento estero come affidamento preadottivo se non contrario ai principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori, valutati in relazione al supremo interesse del minore. Trascorso un anno dall’inserimento del minore nella nuova famiglia, se lo ritiene ancora corrispondente all’interesse dell’adottando, il tribunale pronuncia l’adozione e ne dispone la trascrizione nei registri dello stato civile.

E’ competente per detti provvedimenti il Tribunale per i minorenni del distretto in cui gli aspiranti genitori hanno la residenza al momento dell’ingresso del minore in Italia.

 

 

 

3. La giurisprudenza

Tra i requisiti richiesti per adottare un minore, oltre alla circostanza che i coniugi siano uniti in matrimonio da almeno tre anni, è necessario che i medesimi abbiano un’età che superi di almeno 18 e di non più di 45 anni l’età dell’adottando.

E’ questa una regola sancita dall’art. 6 della L. 184/1983 (così come modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149) e valida sia per le adozioni c.d. legittimanti dei minori che per quelle c.d. internazionali.

Sulla rigidità o meno di questa prescrizione si è espressa più volte la giurisprudenza a partire dalla significativa sentenza 24/07/1996, n. 303 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma “nella parte in cui non prevede che il giudice possa disporre l’adozione valutando esclusivamente l’interesse del minore, quando l’età di uno dei due coniugi adottanti superi di oltre quaranta anni l’età dell’adottando, pur rimanendo la differenza di età compresa in quella che di solito intercorre tra genitori e figli, se dalla mancata adozione deriva un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore”; ugualmente si è espressa la medesima Corte con sentenza 9/10/1998, n. 349, in merito all’ipotesi di un coniuge con età che non superi di almeno 18 anni quella dell’adottando.

Viene dunque affermato il principio che la differenza di età tra adottanti e adottando non deve essere intesa in modo assoluto e rigido, ma va valutata tenendo presente  la peculiarità del caso concreto nel superiore interesse del minore, essendo consentito derogare alla regola del divario massimo di età tra adottanti e adottando quando sussistano le due condizioni:

a)      della differenza di età compresa in quella che di solito intercorre tra genitori e figli;

b)      del danno grave e non altrimenti evitabile che deriverebbe al minore dalla mancata adozione.

A seguito delle sentenze citate e di numerose altre pronunce giurisprudenziali in questo senso, la legge 28 marzo 2001, n. 149 ha modificato l’art. 6 della L. 184/1983 aggiungendo il comma 5, in cui è prevista la possibilità di derogare ai suddetti limiti di età “qualora il tribunale per i minorenni accerti che dalla mancata adozione derivi un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore”.

Di conseguenza, le indagini e le valutazioni del giudice del merito non debbono svolgersi sul piano astratto e generale, ma, in ossequio al principio - di rilevanza costituzionale - della tutela del prevalente interesse del minore, debbono avere ad oggetto la fattispecie concreta.

E ciò è proprio quanto è stato affermato nella recentissima sentenza della Suprema Corte di Cassazione, Sez. I Civ., n.2303/2002, in cui si chiarisce che “il principio costituzionale della tutela del prevalente interesse del minore intende garantire la tutela più piena possibile ai concreti bisogni affettivi ed educativi di ciascuno e di tutti i minori coinvolti nelle vicende giudiziarie sottoposte al vaglio del giudice di merito”.

La Corte, pertanto, ha cassato la sentenza con cui il Tribunale per i minorenni di Catania aveva respinto la richiesta di attribuire gli effetti di affidamento preadottivo al provvedimento con cui era stata dichiarata l’adozione del minore straniero; il giudice di merito, infatti, aveva affermato che il divario di età tra i ricorrenti e l’adottando superava di gran lunga quello che di solito intercorre tra genitori e figli, sulla base di dati statistici riguardanti la situazione di figli che hanno i genitori entrambi quarantenni e di quelli che, in questo gruppo statistico, hanno padri ultra sessantenni.

I giudici della Suprema Corte si sono opposti a tale ricostruzione sostenendo che l’indagine non deve fare riferimento a puri dati statistici, ma rimanere aderente al caso concreto e considerare l’età reale dei ricorrenti; anche perché la giurisprudenza costituzionale, nel richiamare la differenza di età che intercorre di solito tra genitori e figli, non vuole rinviare alla mera norma statistica senza tenere conto della diversa valutazione sociale della fattispecie, ma suggerisce – come rilevato dalla Cassazione già nel febbraio 2002 – di svolgere l’indagine “tenendo conto delle importanti trasformazioni sociali degli ultimi anni, dell'evoluzione dei costumi e della scienza, e quindi dei molti fattori attinenti all'allungamento della vita media, alla progressiva dilatazione dell'arco della vita in cui la natura conferisce attitudine alla procreazione, al fenomeno ampiamente riscontrabile del notevole innalzamento dell'età in cui si trova stabile occupazione, si contrae matrimonio e si concepiscono figli”.

In altre parole, l'accertamento dei requisiti genitoriali non si può fermare al puro dato anagrafico, ma deve “verificare se il superamento del limite massimo di età sia tale da non impedire alla famiglia adottiva di assolvere una funzione completamente sostitutiva della famiglia biologica”.

In sostanza, bisogna valutare se la differenza d’età che in concreto intercorre tra adottanti e adottando, pur non essendo compresa nella norma statistica, possa essere considerata, dal punto di vista sociale, come normale.