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La rivoluzione del copyright in Inghilterra

Scritto da Giulia Scalzo

L'Inghilterra ha cominciato una battaglia difficile: combattere le violazioni di copyright sul web, curando il peer-to peer.

Per riuscirci l'ordinamento inglese non si è affidato alla giurisprudenza,arma consueta,ma alla legge. Il parlamento inglese infatti nel giugno 2010 ha fatto entrare in vigore il Digital Economy Act  (DEA), pronto a riscuotere tanto critiche quanto consensi. Dal punto di vista meramente formale, esso consta di 48 articoli e 2 appendici, anche se solo gli articoli dal 3 al 18 (online infringement of copyright) sono stati posti sotto assedio dal popolo dei netizen.

Da premettere che il DEA contiene misure concrete solo verso la Ofcom, l'autorità competente e regolatrice indipendente per le società di comunicazione in Inghilterra, imponendogli precisi doveri di rendiconto sulle violazioni di copyright riscontrate durante l'anno e producendo un InitialObligations Code e un Technical Obligations Code. Con il primo, la Ofcom redige un codice di comportamento a cui gli ISP (internet service provider) e i proprietari del copyright devono attenersi in tutti i casi di violazione online dei loro diritti.

Secondo questa legge, per prima cosa il soggetto titolare del copyright deve raccogliere prove che un certo indirizzo IP è in uso per violare il diritto d'autore, cercando l'ISP responsabile di avere assegnato quell'indirizzo. Fatto questo, il soggetto invierà all'ISP e al suo abbonato un resoconto delle violazioni (copyright infringement report CIR). L'iter prosegue con Ia verifica da parte del provider delle sue documentazioni per vedere a quale dei suoi abbonati era assegnato quell'indirizzo IP, inviandogli una notifica riguardo la rilevata violazione. Il destinatario può impugnare la notifica ricevuta attraverso un delicato e dettagliato processo. In caso di mancata impugnazione o sconfitta, il provider registrerà l'accusa e il numero di CIR che il sito accusato riesce ad ottenere nel corso del tempo. Dopo una serie di notifiche verso lo stesso sito e quindi di CIR, il provider deve iscrivere il sito in una lista (copyright infringement list, CIL), elencando tutte le notifiche ricevute per tutti i siti sospetti. In tutto questo elaborato processo, il titolare del diritto d'autore può chiedere al provider la lista, anche se da essa il soggetto può solo capire quante volte è stato infranto il copyright ma non chi è stato ad infrangerlo. Il soggetto infatti potrà scoprirlo solo dopo aver portato in tribunale il provider, in modo da ottenere dettagli sul sito violatore, senza neanche sapere se in realtà la violazione sia realmente avvenuta. L'Initial Obligations Code quindi serve ad "educare" i violatori e a tenerli in guardia.

Invece, alle sezioni 9- 12 del DEA, sono contemplati gli obblighi che il Governo inglese può imporre ai provider e le misure tecniche che questi ultimi devono attuare verso i propri sottoscrittori. Tutti questi obblighi e misure però non possono essere imposte se non 12 mesi dopo l'entrata in vigore del codice sopra descritto, quindi non prima di Gennaio 2012. Le misure tecniche che i provider possono imporre ai loro sottoscrittori sarebbero in grado di:

  • limitare Ia velocità di un sito attraverso riduzioni della banda larga o ponendo limiti di download;
  • impedire al sito di usare internet per reperire materiali attraverso blocco di siti, protocolli e porte;
  • sospendere il servizio internet (fenomeno della disconnessione);
  • limitare in qualsiasi modo la connessione internet ad un sito (clausola generale). È opportuno notare che queste misure possono essere alquanto pervasive per un mondo libero come quello del web. Inoltre, l'aspetto fondamentale è che nel DEA non si fa riferimento ad un limite temporale per la fine di queste misure, con la terribile conseguenza che un'ipotetica disconnessione del servizio potrebbe essere definitiva.

Tutte queste misure devono essere sottoscritte nel Technical Obligations Code, redatto sempre dalla Ofcom in modo:

  • oggettivo;
  • proporzionale;
  • giustificato;
  • trasparente.

Il DEA si sofferma anche sulla possibilità dell'abbonato accusato di possibili violazioni di copyright di impugnare l'accusa in un processo indipendente. Nell'eventualità di appello contro una parte dell'Initial Obligations Code, il caso verrà sentito da un corpo istituito dalla stessa Ofcom, mentre ove l'appello sia verso le misure tecniche, il soggetto potrà rivolgersi al Copyright Tribunal, istituito dal Copyright, Designs and Patents act del 1988.
Per quanto riguarda l'onere della prova, tutte le dichiarazioni devono essere provate su un bilanciamento delle probabilità, facendo in modo che ogni dichiarazione sia più vera che falsa. Il provider o il titolare del diritto d'autore dovranno provare che la violazione è avvenuta e che il resoconto di cui abbiamo parlato all'inizio di questo articolo faccia riferimento all'abbonato messo sotto accusa. Quest'ultimo, invece, per discolparsi dovrà provare che la violazione è stata in realtà commessa da un altro sito e che comunque gli ha preso misure idonee atte ad impedire possibili violazioni.
In caso di vittoria, la parte otterrà un risarcimento e la possibilità di rivedere le eventuali misure tecniche che erano state imposte al sottoscrittore.
Ma veniamo all'analisi della parte più controversa del DEA, ovvero l'articolo 17. Esso concerne infatti il potere di emanare provvedimenti sull'istituzione di ingiunzioni per limitare l'accesso a siti internet. In pratica, il provider potrebbe bloccare eventuali siti totalmente o in parte sulla base di presunte violazioni di copyright.

Occorre precisare che anche prima del DEA era possibile ottenere un tipo simile di ingiunzione attraverso la High Court, come è specificato nel Copyright, Designs and Patents Act. Con il precedente sistema, però, questo provvedimento poteva essere ottenuto dopo che il titolare di copyright avesse notificato al provider la violazione, e soprattutto lo avesse condotto in tribunale, provando la violazione: solo dopo tutti questi passaggi il soggetto poteva ottenere un'ingiunzione così limitativa.

L'articolo 17, invece, amplifica questi poteri. L'ingiunzione infatti può essere emessa da un ministro, previo consenso del Ministro della Giustizia, delle Camere del Parlamento e di una Corte, e può bloccare qualsiasi sito Internet che è stato usato, è ancora usato o è molto probabile che venga usato per violare il copyright. Nell'emettere tale provvedimento si dovrà anche considerare, e non è elemento da poco, l'importanza della libertà di espressione.
Come si può notare dall'analisi di questa nuova legge, le censure posso essere tante, come tante sono le critiche che il DEA ha attirato dentro e fuori l'Inghilterra. Le più convincenti sono quelle mosse da Talk-Talk e British Telecom,i più grandi provider inglesi. La critica di fondo concerne l'inutilità delle misure previste dalla legge in quanto:

  • gli utenti  potrebbero benissimo raccogliere materiale che infrange diritti di copyright senza usare applicazioni che sfruttano il peer-to-peer;
  • la legge prevede che le norme dei codici descritti inizialmente verranno applicate a provider con più di 400.000 iscritti, sostenendo quindi che la norma condurrebbe ad una migrazione di massa verso provider più piccoli.

Proprio per far si che la legge venga abrogata, questi due provider nel Luglio 2010 hanno impugnato il DEA, sostenendo che la legge è stata emanata con soltanto il 6% dei membri del Parlamento, presumendo quindi che ci sia stato uno scrutinio insufficiente, ma soprattutto domandandosi se tale normativa sia stata emanata nel rispetto del principio di proporzionalità e della legge sulla privacy.
I netizen intanto ritengono violati i loro diritti, in quanto molti siti sono stati bloccati, senza un adeguato diritto di difesa, solo per una presunta violazione di copyright. La rivolta contro il DEA infatti invade internet, anche con manifestazioni ad impatto visivo (sull'homepage di Open RightsGroup, organizzazione che difende i diritti dei netizen, è comparso un grande dito medio per testimoniare la sostenuta violazione di tali diritti). Inetizen ritengono ingiusto il blocco di siti e una censura discrezionale di internet solo sulla base di una presunta violazione e senza un giusto processo, per non parlare poi delle responsabilità che ai provider verrebbero assegnate per i contenuti che i clienti hanno immesso nei siti.

Il rischio infatti sarebbe quello di bloccare siti in modo imparziale, per poi arrivare in tribunale e accorgersi che, in realtà, la violazione non sussiste. Non si capisce inoltre chi dovrebbe sostenere i costi in caso di vittoria in giudizio di un sito contro il provider.

Infine, si sostiene che qualsiasi blocco dei siti o rimozione dal web è praticamente impossibile, in quanto l'utente potrebbe accedere attraverso altri servizi, come VPN o Proxy. La mente degli informatici è sempre molto attenta a cercare possibili alternative di fronte ad un problema.
Il mondo di internet ha portato all'umanità una libertà di espressione, condivisione e conoscenza tali che non dovrebbero essere distrutte da un mondo di censure e proibizioni, le quali alla fine potrebbero anche rivelarsi irrealizzabili. Sembra quasi alla fine che il tanto spaventoso DEA altro non sia che la solita lotta contro i mulini a vento.