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Paolo Pistone, Crepuscolo dell’Uomo di Gutenberg

Scritto da Redazione

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Muovendo dalle intuizioni della mediologia, lo scritto ripercorre essenzialmente due epoche e ne traccia le antropologie: quella tipografica o gutenberghiana e quella elettrica-ed-elettronica. L’una è definita èra “dell’occhio”, perché in essa la vista ottiene il dominio sugli altri organi di senso, sulla realtà e sul linguaggio, l’altra èra della cultura “della distanza”, perché attraverso la tele-visione, le reti digitali e l’“essere connessi”, il potere è consegnato ai media elettronici, che tanto riducono o vincono la distanza, quanto la rafforzano e ne fanno risorsa fondamentale della sensibilità e del quotidiano.
Si ha, in questa seconda epoca, la cessazione del primato dell’occhio perché la distanza, per essere controllata, sorvegliata, vuole strumenti sempre più potenti e veloci, sempre rinnovata macchinazione, più forte del meccanicismo stesso, o che sempre sia chiamata a trascendere il macchinismo; laddove l’uomo, innanzi tutto come corpo, è emulato e superato, tradotto in data da elaborare; e dove non è più l’occhio, perché molto ed essenzialmente impiegato, a poter visualizzare e controllare la realtà, della quale si è persa l’idea univoca, lì si ha la cosiddetta “morte del libro” e la nascita di un “post-realismo”.
Il punto di partenza, per questo itinerario, può essere ravvisato in due intuizioni di McLuhan: la prima secondo cui il carattere tipografico, “estendendo” l’organo della vista, ha assicurato la “supremazia della propensione visuale” e suggellato la “fine dell’uomo tribale”; la seconda del “movimento d’informazione”, per cui con il telegrafo, ovverosia con l’inaugurazione dell’èra elettrica (ma “elettrica-ed-elettronica”, inscindibilmente), “l’informazione si è staccata da materie solide come la pietra e il papiro”, venendone investito lo “stretto rapporto tra le strade e la parola scritta”.
Attorno a queste intuizioni si snoda la riflessione, che attinge al pensiero di vari autori. Innanzi tutto Nelson, con il suo progetto di una “letteratura” elettronica ipertestuale, tentativo forse più necessario che singolare di salvare la cultura letteraria; quindi Baudrillard e De Kerckhove, con le rispettive riflessioni sulla realtà e sullo schermo; Lévy, con la tesi della natura essenzialmente “virtuale” del testo; Virilio, con il suo libro sulla Bomba informatica.
Ma sono pur sempre i legami con la filosofia, che debbono fare riflettere, non solo per certa quale sua attitudine a profetizzare (il Nietzsche delle tesi del Crepuscolo degli idoli), o a deliberare (il Derrida della “morte del libro” e della fine della “scrittura lineare”); ma anche per la sua capacità di diagnosticare, sul senso materiale ed essenziale della storia: e qui in primis è Heidegger, con le sue teorie: dell’industria e della tecnica, dei due linguaggi, ma soprattutto del “disallontanamento” (Entfernung), che l’autore ritiene utile, per interpretare l’èra della distanza.
La questione centrale dello scritto è il “crepuscolo”, prima ancora che la estinzione accertata, della print culture, la “civiltà tipografica” dei popoli occidentali (McLuhan), con la sua antropologia specifica, e di più della cultura scritta, degli alfabeti fonetici nel loro dominio e nelle loro radici materiali. E la nascita, o comunque l’insinuarsi e diffondersi, di un’èra digitale, virtuale, che s’impone attraverso la smaterializzazione e la comunicazione della distanza a distanza; in cui mentre la materia carta, la materia pagina, la traccia decadono nella loro qualità di supporto e di custodi del conoscimento, prende il sopravvento l’immagine (non già pittorica ma tele-trasmessa, fotografica, numerica) quale nuova forma generalizzata di scrittura.