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Molestie tramite e-mail : soluzioni giurisprudenziali a confronto

Scritto da Caterina Marino

Risale al 13 settembre 1904 il primo invio elettronico pubblicitario non richiesto: si trattava di un telegramma e se da quella data, visto l'avvento di Internet, il fenomeno dello spam ha raggiunto una dimensione allarmante, di certo non sono diminuite le doglianze degli utenti che ricevono valanghe di e-mail non richieste dal contenuto più vario. Il linguaggio della rete ha fatto proprio questo termine per indicare l'invio, tramite operatore o con modalità automatizzate, di comunicazioni non richieste (mediante telefono, e-mail, fax, sms, mms ecc.), senza che il destinatario abbia ricevuto un'informativa sul trattamento dei dati personali o abbia prestato il consenso a riceverli.

Lo scopo dello spam appare essere nella maggior parte dei casi pubblicitario e non sono infrequenti le occasioni in cui oggetto dello stesso non siano comuni offerte commerciali, ma vere e proprie proposte di vendita di materiale pornografico o illegale (si pensi al caso di farmaci senza prescrizione medica). Lo spammer, cioè l'autore di questi messaggi non richiesti, utilizza riferimenti (e-mail, numeri telefonici ecc.) spesso raccolti in modo non lecito o in maniera automatica tramite internet (newsgroup, forum , indirizzi presenti su siti internet), anche mediante speciali programmi (spambot) o più semplicemente tramite invii massivi ad indirizzi e-mail generati a caso e basati su nomi comuni.

Se, in linea generale, il principio vigente in materia è quello della preventiva raccolta del consenso il quale (ex art. 130 del Codice in materia di protezione dei dati personali, D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196.), ai fini della legittimità del trattamento, deve anche essere libero, informato, specifico e riferito a trattamenti chiaramente individuati e da documentare per iscritto.

L'Autorità per la protezione dei dati personali è intervenuta con numerosi provvedimenti a riguardo precisando, ad esempio, che la mera disponibilità su internet di un indirizzo e-mail non legittima un invio di materiale non richiesto, ma che, al contrario, essa vada rapportata alle finalità per cui gli indirizzi stessi vi sono stati pubblicati. I dati personali resi conoscibili in tal modo, non potranno essere, quindi, liberamente utilizzabili per l'invio generalizzato di e-mail aventi finalità differenti da quelle per cui i dati furono raccolti.

Da tenere presenti sono,inoltre, alcune importanti eccezioni a tali principi, rappresentate in primis dal caso del soft-spam, rispetto al quale l'Autorità, coerentemente con l'ottica semplificatoria prevalente nella più recente legislazione nazionale, ha ricordato in vari provvedimenti (si vedano, ad esempio, i provvedimenti n. 429 20/12/2012 - n. 105 7/03/2013) che se il Titolare del trattamento utilizza, a fini di vendita diretta di propri prodotti o servizi, le coordinate di posta elettronica già fornite dall'interessato nel contesto della vendita di un prodotto o di un servizio, può non richiederne nuovamente il consenso sempre che si tratti di servizi analoghi a quelli oggetto della vendita precedente e non vi sia stato, a tal proposito, un rifiuto dell'interessato.

Il soggetto destinatario di tali comunicazioni indesiderate ha a disposizione strumenti di tutela amministrativa e giurisdizionale: degne di particolare interesse, a tal proposito, sono le varie controversie giudiziarie in relazione alle quali le nostri Corti si sono trovate a dover verificare se lo spamming potesse integrare una delle condotte sanzionate dall'art. 660 del codice penale, rubricato "molestie e disturbo alle persone".

In particolare, con le sentenze n. 36779 del 12 Ottobre 2011 e 24510 del 17 Giugno 2010 la Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi sulla configurabilità della contravvenzione ex 660 c.p. nel caso in cui la condotta si concretizzi nell'utilizzo di Internet ed in particolare nell'invio copioso di messaggi di posta elettronica. Premesso che, come emerge anche dalla recentissima sentenza della Cassazione (n. 23619/2014), il reato di molestie non è necessariamente abituale potendo essere realizzato anche con una sola azione e la reiterazione delle condotte di disturbo può configurare, quindi, un'ipotesi di continuazione. La più risalente sentenza della Corte, tra le due sopra citate, ha sposato una tendenza decisamente restrittiva, rilevando, nel caso di specie, come il fatto non possa dirsi previsto dalla legge come reato.

Si trattava, in particolare, di un contenzioso relativo all'invio di messaggi di posta elettronica contenenti "apprezzamenti gravemente lesivi della dignità e della integrità personale e professionale" del convivente della destinataria. I messaggi erano stati inviati dalla casella di posta elettronica "barma71", attivata mediante collegamento effettuato tramite l'utenza telefonica intestata all'imputato. Le argomentazioni del giudice monocratico, poi censurate dalla Cassazione in seguito alla proposizione del ricorso, si fondavano sulla condotta tipizzata dalla norma incriminatrice in questione, come un'indicazione aperta, legata all'evolversi dei mezzi tecnologici. L'aumento della "gamma delle opportunità intrusive", offerto dal progresso tecnologico, avrebbe quindi potuto portare ad una naturale espansione dell'ambito delle "condotte in grado di integrare l'elemento strutturale della molestia" e del "corrispondente livello di tutela apprestato alle potenziali vittime", restando "inalterata la ratio della norma". A riprova di una tale interpretazione il Tribunale riportava la tendenza della giurisprudenza di legittimità a ravvisare gli estremi della contravvenzione nella condotta molestatrice attuata col mezzo del citofono, sulla base del rilievo che l'articolo 660 Codice Penale, con il riferimento al termine "telefono", comprendesse anche gli "altri analoghi mezzi di comunicazione a distanza"; e,quindi, anche la e-mail.

La Corte ha sottolineato che il disturbo del soggetto passivo rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente affinché il reato venga in essere: per integrare la contravvenzione prevista dall'articolo 660 Codice Penale, devono, infatti, concorrere (alternativamente) gli ulteriori elementi della pubblicità (o l'apertura al pubblico) del luogo dell'azione ovvero l'utilizzazione del telefono come mezzo del reato.

Ovviamente ai nostri fini è il mezzo telefonico ad assumere un maggior rilievo, non solo per l'astratta possibilità di comprendere sotto la sua generica dizione l'utilizzo della rete ma anche per il carattere invasivo della comunicazione telefonica, nella quale il destinatario non può sottrarsi se non disattivando l'apparecchio telefonico, con conseguente lesione, in tale evenienza, della propria libertà di comunicazione costituzionalmente garantita (articolo 15, comma 1, Cost.).

La Cassazione ha disatteso l'interpretazione estensiva della norma fornita dal giudice di grado inferiore ed in particolare quella relativa al termine "telefono", argomentando che questi, al contrario della posta elettronica, presenta la caratteristica essenziale di permettere una teletrasmissione sincrona, di voci o di suoni.

Ecco che la sentenza offre, dunque, una definizione del termine telefono, utile ai fini di un'applicazione estensiva della norma, basata principalmente due elementi:

- Deve trattarsi di un apparecchio telefonico o che comunque permetta la trasmissione di suoni e voci (da qui l'estensione della norma al caso dell'utilizzo del citofono, essendo l'azione perturbatrice dei due sistemi perfettamente identica e le differenze tecniche tra gli stessi assolutamente irrilevanti)

- Deve permettere una comunicazione sincrona.

Questo ultimo punto è meritevole di particolare attenzione poiché la Corte ha ritenuto che lo strumento della e-mail fosse meno invasivo della sfera personale dell'individuo in quanto non consente una interazione diretta tra le persone e, quindi, non è idoneo ad arrecare un'immediata molestia o un disturbo.

Oltretutto, la e-mail non permette il realizzarsi di quella comunicazione sincrona da cui, secondo il ragionamento della Corte, non si potrebbe prescindere per l'integrazione del reato, esaurendosi altrimenti l'azione del mittente nella memorizzazione di un testo nell'elaboratore del gestore del servizio e, quella del destinatario, nel connettersi a sua volta e consultare la propria casella di posta: solo dopo la lettura del messaggio la comunicazione potrà, dunque, dirsi effettivamente perfezionata.

L'invio di e-mail viene dalla Corte analogicamente ricondotto alla corrispondenza cartacea (a differenza, ad esempio, dell'invio di SMS, capaci di recare turbamento al destinatario poiché "avvertiti" tramite segnale acustico ancora prima di poterne individuare il mittente), ed è, quindi, escluso dal campo di applicazione dell'art 660 del c.p.

Tramite un'interpretazione eccessivamente estensiva della norme in questione, infatti, si rischierebbe di violare gli essenziali principi presenti nel nostro ordinamento di stretta legalità e tipicità delle condotte illecite e si applicherebbe - benché sospinta dalla necessità di tutelare in maniera più profonda ed efficace il bene protetto- una forma di analogia in malam partem, vietata dalla nostra legge penale e costituzionale.

La citata sentenza del 2011, invece, ha dimostrato una maggiore apertura della Corte nell'affermare che l'invio ripetuto di messaggi di posta elettronica, indipendentemente dal loro contenuto, può essere comunque idoneo a cagionare un elevato disagio emotivo o comunque di disturbo ai destinatari.

La Cassazione esclude ancora una volta che il reato de qua possa essere integrato nel caso sottoposto al suo giudizio, sempre relativo a presunte molestie recate tramite posta elettronica, ed ancora una volta rifugge da un'interpretazione estensiva dell'art. 660 c.p poiché non riscontra nello scambio di e-mail quella interazione immediata tra mittente e destinatario richiesta puntualmente dalla norma.

Ecco, quindi, che anche in questo caso lo spamming viene estromesso dalle condotte suscettibili di essere definite molestia ex art 660, ma la Corte, e qui risiede la portata innovativa della decisione in esame, non opera una tale esclusione sic e simpliciter.

Viene operata un'importante precisazione: in linea con l'odierno progresso tecnologico essa riconosce, significativamente, che l'arrivo di messaggi di posta elettronica in un cellulare "attrezzato" è suscettibile di recare quella molestia e quel disturbo tali da integrare il reato di cui all'art. 660 cp.

Il destinatario non potrebbe, infatti, sottrarsi alla ricezione del messaggio se non dismettendo l'uso del telefono con conseguente lesione della propria tranquillità e privacy, da un lato e della propria libertà di comunicazione dall'altro.

Ecco che quindi il tradizionale, e restrittivo, criterio precedentemente fatto proprio dai giudici per circoscrivere il campo di applicabilità dell'art. 660 c.p., basato sulla sincronia o meno delle comunicazioni, e sulla speculare netta distinzione tra telefono/citofono ed e-mail non risulta più essere dirimente.

L'utilizzo dei moderni smartphones permette, infatti, l'invio e la contestuale ricezione non solo di sms, ma anche di e-mail, segnalate entrambe da un avvertimento acustico. Inoltre, proprio tale avvertimento potrebbe, soprattutto nel caso di spamming e quindi di un affollamento indesiderato della casella di posta elettronica, recare un forte disturbo alla persona, nonché una possibile lesione della sua libertà di comunicazione costituzionalmente garantita (si pensi ad un overflow della casella e-mail del destinatario, aspetto questo già esaminato dalle Corti anche in relazione alla configurabilità di un "danno da spam").

Una strada, questa intrapresa dalla Cassazione, sicuramente più aperta e sensibile rispetto al passato e che non esclude ulteriori interpretazioni evolutive in armonia a futuri ed inevitabili sviluppi tecnologici, ma che, tuttavia, continua a testimoniare la difficoltà che gli interpreti del diritto incontrano nel coniugare le norme giuridiche, in particolare quelle penali, ai cambiamenti e alle nuove sfide poste dal progresso tecnologico.

 

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