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La risarcibilità degli interessi legittimi

Scritto da Ivan Pacifico

Per tradizione il nostro diritto ha distinto sempre tra due posizioni soggettive giuridicamente rilevanti, il diritto soggettivo e l'interesse legittimo. La distinzione nasce con la l. 20 Marzo 1865, n.2248 all.E (legge abolitiva del contenzioso amministrativo), nella quale, all'art.2, si affida la tutela delle "materie di cui si faccia questione di un diritto civile o politico" alla giurisdizione ordinaria, mentre all'art. 3, si riserva alle autorità amministrative la competenza circa gli "affari non compresi nell'articolo precedente". La tutela delle posizioni che non riguardavano diritti civili o politici veniva rimandata, in tal modo, all'autorità amministrativa e la stessa avveniva tramite la proposizione di un ricorso gerarchico.
Il dibattito successivo all'approvazione della legge mise in evidenza come in effetti non si era migliorata la posizione del cittadino, bensì questa era stata peggiorata. In seguito ad una lesione dei propri interessi, il cittadino si doveva rassegnare e ciò rappresentava motivo di diffuso malcontento: basti ricordare la celebre frase del Mancini "... sia pure che l'autorità amministrativa abbia fallito la sua missione, che non abbia provveduto con opportunità e saggezza, ... sia pure che essa abbia, e forse anche senza motivi, rifiutato ad un cittadino una permissione, un vantaggio, un favore, che ogni ragione di prudenza e di buona economia consigliasse di accordargli ... sia pure che questo cittadino è stato di conseguenza ferito, e forse anche gravemente, nei propri interessi: che perciò?... che cosa ha sofferto il cittadino in tutte le ipotesi testé discorse? Semplicemente una lesione degli interessi? Ebbene, che vi si rassegni".
In seguito fu l'impegno della cosiddetta destra storica, in particolare di Silvio Spaventa, a porre in rilievo il regresso che si era avuto con la legge n. 2248/1865. Grazie a quest'opera di sensibilizzazione si pervenne ad un intervento del legislatore, la legge Crispi del 21 marzo del 1889 n. 5992, che apprestò una tutela di natura giurisdizionale agli interessi legittimi. La legge provvide ad istituire la IV sezione del Consiglio di Stato con una competenza circa la valutazione della lesione degli interessi legittimi perpetrata attraverso atti illegittimi della pubblica amministrazione.
Nell'ordinamento vigente la distinzione tra posizioni giuridiche soggettive, qualificate sia come diritti soggettivi sia come interessi legittimi, trova un pieno riconoscimento nella Costituzione agli articoli 24, 103 e 113. In quest'ultimo articolo le due figure vengono contrapposte tra di loro trovando due diverse tutele giurisdizionali, rispettivamente di carattere ordinario e di carattere amministrativo. La Carta costituzionale, pur prendendo atto di una consolidata distinzione tra le due figure ed apprestando una tutela ad entrambe, non provvede a delinearne i caratteri e gli elementi distintivi. E' stato compito della dottrina, quindi, individuare i requisiti materiali tramite i quali arrivare a distinguere il diritto soggettivo dall'interesse legittimo, mentre è stato compito della giurisprudenza ricondurre ad una o all'altra figura le situazioni concrete.
Per poter definire tanto il diritto soggettivo quanto l'interesse legittimo è importante definire cosa è l'interesse, cioè che cosa è l'interesse verso qualcosa di giuridicamente rilevante. Esso può essere considerato l'aspirazione o la tensione verso un bene che viene ritenuto dal soggetto idoneo a soddisfare un bisogno.
Quando si parla del diritto soggettivo si ha un riconoscimento pieno, da parte dell'ordinamento giuridico, dell'interesse anzidetto mediante l'attribuzione al soggetto della facoltà di agire, la facultas agendi dei Romani. Il soggetto potrà esercitare tale facoltà per ottenere il bene che soddisfa il bisogno, tanto nei confronti dei privati, quanto nei confronti della pubblica amministrazione. La dottrina sottolinea come questa facoltà generale di agire individui una serie di facoltà specifiche, tra di esse se ne possono individuare quattro maggiormente rappresentative: facoltà di godimento (pensiamo ai diritti reali), facoltà di pretesa (pensiamo ai diritti di credito), facoltà di disposizione (tipica dei diritti potestativi), facoltà di scelta (rappresentata dai diritti di libertà).
Quando l'ordinamento non offre una tutela piena all'interesse del cittadino siamo, di fronte alla figura dell'interesse legittimo. In tal caso, l'aspirazione al bene che soddisfa il bisogno non viene ad essere considerata dall'ordinamento giuridico meritevole di tutela in re ipsa: quell'aspirazione potrà trovare soddisfacimento se non sia in contrasto con un interesse superindividuale. L'interesse come aspirazione al bene che soddisfa il bisogno viene ad essere filtrato attraverso un altro interesse, quello diretto al corretto esercizio del potere della pubblica amministrazione portatrice degli interessi superindividuali. Ciò avviene perché solo attraverso il corretto esercizio del potere si possono sacrificare le aspirazioni del cittadino. Consegue, quindi, un interesse alla legittimità degli atti tramite i quali la pubblica amministrazione agisce. Per quanto anzidetto, la dottrina distingue vari tipi di interessi legittimi:
a) interessi legittimi veri e propri e propri e diritti affievoliti: qui i diritti soggettivi si affievoliscono e non ricevono più una tutela piena, la legge li modifica e li limita attraverso l'operato della pubblica amministrazione, portatrice di interessi superindividuali;
b) interessi legittimi oppositivi e pretensivi: gli oppositivi pretendono un comportamento negativo della pubblica amministrazione, quelli pretensivi, invece, pretendono un comportamento positivo dell'amministrazione. Nel primo caso, il soggetto mira al mantenimento del "bene" che soddisfa il bisogno; nel secondo caso, egli mira ad acquistare un "bene". In entrambi i casi, lo si potrà mantenere o acquistare in quanto ciò non sia in contrasto con gli interessi superindividuali;
c) interessi legittimi procedurali e sostanziali: nei primi vi è la pretesa al rispetto delle norme che regolano il procedimento; nei secondi vi è la pretesa al rispetto delle norme riguardanti un rapporto.

Dopo aver chiarito quali sono le posizioni soggettive riconducibili al singolo, è necessario illustrare attraverso quali mezzi l'ordinamento provvede a render effettive tali posizioni. Bisogna accertare, cioè, in che modo l'ordinamento tutela il diritto soggettivo e l'interesse legittimo.
Nell'Italia pre-unitaria, vigeva una duplice giurisdizione, ereditata dall'ordinamento francese e conseguenza di una concezione meccanicistica della divisione dei poteri. Da ciò derivava che le controversie tra pubblica amministrazione e cittadino erano devolute a giudici speciali appartenenti all'amministrazione stessa; al contrario, le questioni che riguardavano i rapporti fra privati venivano devolute alla giurisdizione ordinaria. Si è evidenziato, in precedenza, come attraverso la legge. n. 2248/1865 è stata abolito il contenzioso amministrativo. Poi, insoddisfatti della tutela che attraverso tale soluzione si era apprestata, dopo un quarto di secolo si istituì la IV sezione del Consiglio di Stato competente a conoscere della lesione degli interessi legittimi attraverso atti illegittimi della P.A.. Il legislatore, trovando difficoltà a ricondurre alcune lesioni agli interessi legittimi o ai diritti soggettivi attribuì, con il d.l. n.2840 del 1923, una competenza al Consiglio di Stato in alcune materie indipendentemente dal fatto che si trattasse di interessi legittimi o di diritti soggettivi. Con questa competenza, per "blocchi di materie", veniva stabilita la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo derogando all'impostazione tradizionale basata sul riparto di giurisdizioni per posizioni subiettive.
La Costituzione fa salve tutte le impostazioni precedentemente adottate, con gli articoli 24, 103 e 113 sancisce l'abolizione di qualsiasi limitazione alla tutela degli interessi legittimi, individua una maggiore tutela del cittadino attraverso l'istituzione di una giurisdizione di primo grado (istituita solo nel 1971 con la legge n. 1034) e conferma la possibilità di una giurisdizione esclusiva. Nell'ultimo decennio, anche in seguito alle sollecitazioni che sono derivate dall'integrazione tra i paesi della C.E., il legislatore ha ritenuto di dover ampliare le materie oggetto di una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Percorrendo tale strada, si è accentuata la divisione di giurisdizione per blocchi di materie, necessariamente ciò ha comportato un ridimensionamento della ripartizione per posizione subiettiva fatta valere (diritto soggettivo ed interesse legittimo, tutelati rispettivamente dalla giurisdizione ordinaria e dalla giurisdizione amministrativa).

La risarcibilità dell'interesse legittimo.

Al riconoscimento della ripartizione della giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario, necessaria conseguenza dell'esistenza di due posizioni subiettive rilevanti per l'ordinamento giuridico, è seguita un'impostazione singolare della questione della risarcibilità del danno derivante dalla lesione dell'interesse legittimo. L'interpretazione dell'articolo 2043 del cod. civ., norma chiave per il risarcimento del danno derivante da "qualsiasi fatto doloso o colposo che abbia cagionato ad altri un danno ingiusto", ha mostrato di non essere più adatta ad un rapporto paritario tra il cittadino e la pubblica amministrazione, indispensabile elemento per qualificare una democrazia evoluta. La risarcibilità degli interessi legittimi è stato uno dei problemi più dibattuti dalla dottrina anche dopo che, in più riprese, è stato sottoposto al giudizio delle supreme corti. La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione della risarcibilità degli interessi legittimi, pur ritenendo necessario un intervento del legislatore a garanzia di una maggiore equità; mentre più complessa è stata l'impostazione della Corte di Cassazione. La Suprema Corte ha "pietrificato" un'interpretazione restrittiva dell'art. 2043 c.c. attraverso cinquanta anni di esercizio della funzione nomofilattica: la risarcibilità si doveva ammettere solo nella lesione del diritto soggettivo. Questo perché il risarcimento era da ammettere solo nel caso in cui il comportamento (creatore del danno) fosse stato contra ius (cioè, contrario ad una norma giuridica) e non iure (cioè, non giustificato da alcuna norma). Per cui, se vi era solo la lesione di una posizione soggettiva non pienamente tutelata (guarda l'interesse legittimo) tramite un'azione priva di causa di giustificazione ma non contraria ad alcuna norma, la lesione non veniva risarcita. Questa regola aurea soffriva un'eccezione: nel momento in cui vi fosse stata la lesione degli interessi legittimi veri e propri attraverso un atto dichiarato poi illegittimo dal giudice amministrativo. Il diritto soggettivo, compresso dall'attività della pubblica amministrazione, si riespandeva e doveva essere risarcito l'illegittimo affievolimento.
Con quest'interpretazione, se un soggetto aveva subito la lesione di un diritto soggettivo ad opera di un comportamento riconducibile ad un privato, per ottenere il risarcimento proponeva una normale azione di responsabilità ex art. 2043 c.c.. Al contrario, se vi era stato un atto della P.A. illegittimamente restrittivo di un diritto soggettivo, il soggetto doveva prima richiedere l'annullamento di quell'atto (cosiddetta pregiudiziale amministrativa) al giudice amministrativo, unico competente a conoscere della questione di legittimità. Quindi, ottenuto l'annullamento dell'atto, citava in giudizio la pubblica amministrazione per ottenere il risarcimento. Di contro, se vi era stata una lesione di un interesse legittimo (diverso da quelli veri e propri), il soggetto, pur avendo ottenuto l'annullamento dell'atto per illegittimità dello stesso, non poteva richiedere il risarcimento del danno. Tramite quest'interpretazione si creò un vero e proprio privilegio, d'origine regia, basato sulla convinzione che lo "Stato non può fare danno".
Negli ultimi tempi sia il legislatore che la giurisprudenza si sono resi conto che non era più pensabile preservare isole di impunità all'operato della pubblica amministrazione. Anzi, la giurisprudenza con la sentenza delle SS.UU. della Corte di Cassazione n. 500, del 22 luglio 1999, ha ricostruito le tappe che hanno portato a questa storica decisione. La Suprema Corte ha operato una verifica oggettiva della realtà odierna:
- sottolineando l'importanza che riveste il diritto comunitario che non conosce la differenza, tutta italiana, tra interessi legittimi e diritti soggettivi;
- richiamando l'impostazione della Corte costituzionale nella quale si individuava l'esistenza del problema della risarcibilità degli interessi legittimi, ma si declinava l'invito a risolverlo;
- intravedendo tra le scelte del legislatore una precisa volontà diretta a rompere con il passato, tramite un ampliamento delle materie riservate alla giurisdizione esclusiva;
- riconoscendo senza infingimenti e con coraggio le proprie responsabilità, consapevole che non era più possibile mantenere una continuità tra le costruzioni di ieri e quelle di oggi;
- prendendo atto del "radicale dissenso sempre manifestato dalla quasi unanime dottrina".
Si è infranto, così, il dogma della irrisarcibilità degli interessi legittimi.
Si consideri come già vi era stata un'apertura da parte del legislatore alla risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi. Infatti, attraverso l'articolo 13 della legge 142/92 di recepimento delle direttive comunitarie 665/89/Cee e 13/92/Cee si è riconosciuta la possibilità di richiedere il risarcimento per i danni subiti, "a causa di atti compiuti in violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici di lavori o di fornitura o delle relative norme interne", da parte della pubblica amministrazione. Tale domanda poteva essere proposta al giudice ordinario da chi avesse avuto già l'annullamento dell'atto da parte del giudice amministrativo; bisogna dire che si accentuava la farraginosità del procedimento di tutela già utilizzato nel caso della lesione degli interessi legittimi veri e propri. Nel 1998 il legislatore delegato, con il D.Lgs. 80/1998, ha apportato una vera e propria rivoluzione accogliendo una ripartizione di giurisdizione per blocchi (art.33-art.34) e riservando alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie nella materia dell'edilizia, dell'urbanistica e dei servizi pubblici. Il legislatore ha previsto che in tali materie il giudice conosce dei diritti patrimoniali e può stabilire il risarcimento del danno anche attraverso la reintegrazione in forma specifica (art.35).
Il Consiglio di Stato è stato immediatamente consapevole dell'innovazione in tal modo apportata ed ha sollecitato una riflessione sull'opportunità di continuare a mantenere una duplice giurisdizione, basata sulla posizione subiettiva fatta valere, pur sottolineando la rilevanza storica dell'opera del legislatore.
La svolta giurisprudenziale, rappresentata dalla sentenza in esame presuppone una riconsiderazione dell' interpretazione dell' art. 2043 del cod. civ., che ha identificato il "danno ingiusto" negli angusti ambiti della lesione dei soli diritti soggettivi. Le Sezioni Unite fanno rilevare come è stata proprio la giurisprudenza della Cassazione ad ampliare la base della risarcibilità del danno ex articolo 2043 c. c., predisponendo le premesse per l'approdo alla risarcibilità degli interessi legittimi. Un primo ambito di allargamento dell'area di risarcibilità del danno ingiusto ha avuto ad oggetto, più facilmente, la sfera dei rapporti tra privati. Con la sentenza della Cassazione n. 174/71 relativa al famoso caso Meroni, la Cassazione aprì una breccia nella consolidata giurisprudenza che prevedeva la risarcibilità dei soli diritti assoluti. In quel caso si riconobbe la responsabilità aquiliana per violazione di un diritto di credito altrui, svolta relativamente agevole dato che comunque il credito è un bene oggetto di diritti. Da qui si è passati a riconoscere prima la risarcibilità dell'aspettativa di diritto poi di quelle meramente economiche, tramite il riconoscimento del risarcimento per perdita di chance (intesa come possibilità di conseguire un risultato utile sulla base di presunzioni e di un calcolo delle probabilità, v. Corte di Cassazione, n.6506/1986). Si legge nella sentenza da ultimo citata che "non è necessario prendere posizione sulla dibattuta questione se l'ingiustizia del danno debba risiedere nella lesione di un diritto ovvero se basti la lesione di un interesse giuridicamente tutelato" perché si realizzi "la lesione del diritto all'integrità del proprio patrimonio, consistente nella perdita della possibilità di conseguire un risultato utile". Questa formula del "diritto all'integrità del patrimonio" va ricordata perché, come ha fatto rilevare la dottrina più sensibile, non riveste un preciso valore giuridico, ma rappresenta un "valore ideologico e sistematico" ai fini del risarcimento del danno. Quello che finisce per rilevare non è più la situazione soggettiva lesa, bensì il danno economico e la necessità di ripristinare l'equilibrio economico. Si tenga in considerazione come in effetti le svolte riportate non intaccavano la sostanza del dogma dell'irrisarcibilità dell'interesse legittimo. Infatti, l'allargamento della sfera di applicazione dell'articolo 2043 c. c. avveniva tramite dei "mascheramenti" da diritto soggettivo di situazioni che erano prive della consistenza dello stesso. Si individuavano "diritti soggettivi affievoliti, riespansi, sotterranei, residui e comunque sopravvissuti all'esercizio del potere amministrativo (e, a volte, anche del potere privato), ricorrendo persino al codice penale per risarcire situazioni qualificate come interessi legittimi pretensivi". Il dogma non riguardava l'attività materiale della pubblica amministrazione o comunque la sua attività non provvedimentale: le attività svolte more gestionis non potevano essere preservate dalla responsabilità ex art.2043 c.c.. Non riguardava, altresì, i cosiddetti diritti affievoliti da un atto illegittimo della pubblica amministrazione, mentre riguardava sicuramente gli interessi legittimi pretensivi, salvo quelli da fatto-reato. Per questi ultimi, si ricorreva all'articolo 185 cod. pen.(Restituzioni e risarcimento del danno) per riconoscere le aspettative illegittimamente frustrate da concorsi che si erano svolti irregolarmente. In tal modo, si sostituiva il fatto-reato al danno ingiusto, come fonte di obbligazione della P.A., ai fini del risarcimento. Volendo sintetizzare bisogna rilevare come la Suprema Corte riconosceva l'esperibilità o meno dell'azione di responsabilità aquiliana a seconda che la posizione subiettiva fatta valere fosse, rispettivamente, un diritto soggettivo o un interesse legittimo. Contraddittoriamente, essa determinava la natura della posizione giuridica soggettiva fatta valere a seconda che individuasse o meno un danno ingiusto da risarcire. La contraddizione è consapevolmente divenuta insostenibile: per questo motivo, la Cassazione ha ritenuto di dover partire da una nuova interpretazione del "danno ingiusto", attraverso la quale si potrà arrivare a riconoscere il risarcimento anche di alcune posizioni qualificabili come interessi legittimi. La Suprema Corte non ha riconosciuto a priori la risarcibilità dell'interesse legittimo, essa ha riqualificato il danno ingiusto ed in questo modo ha reso accessibile la tutela prevista dall'art.2043 c.c. ad altre posizioni subiettive.

La sentenza delle SS. UU. della Corte di Cassazione n. 500, del 23 luglio 1999

In base all'interpretazione tradizionale dell'articolo 2043 c.c. si riconosceva il risarcimento del danno solo nel momento in cui l'azione lesiva fosse stata contra ius e non iure. Quindi, per il diritto soggettivo, tutelato da una norma di relazione, la tutela sarebbe piena in seguito ad una violazione della norma stessa ed in assenza di una giustificazione. Al contrario ciò non avveniva per l'interesse legittimo. Relativamente a quest'ultimo, esistendo solo norme di azione (che conferiscono la possibilità di intervenire sull'esercizio del potere da parte della pubblica amministrazione), un'eventuale azione posta in essere dalla pubblica amministrazione priva di causa di giustificazione non era sufficiente ad azionare la tutela dell'articolo 2043 c.c..
Le SS.UU. della Corte di Cassazione con la sentenza n. 500, del 23 luglio 1999, stravolgono questa impostazione spostando l'attenzione sul concetto di "danno ingiusto": non più individuabile attraverso la contemporanea presenza della violazione di una norma e dell'assenza di una causa di giustificazione, bensì danno risarcibile si ha solo quando vi è assenza di una causa di giustificazione. E' sufficiente che il comportamento sia non iure per individuare l'ingiustizia del danno. La Suprema Corte è chiara nel riconoscere che sin dalla sentenza 176/1971 vi era stata una "forzatura", quella relativa all'attribuzione dell'aggettivazione del danno (danno ingiusto dell'art.2043 c. c.) alla condotta. L'ingiustizia è, invece, proprio riferita al danno: la centralità del danno è la caratteristica principale dell'articolo 2043 c.c., mentre, per quanto riguarda la colpevolezza, vi può essere un imputabilità a titolo di colpa o di dolo. Non è più necessaria la contrarietà ad una norma per affermare la responsabilità aquiliana, basta l'ingiustizia del danno: un danno inferto in assenza di cause di giustificazione "che si risolve nella lesione di un interesse rilevante per l'ordinamento". In questo modo cambia la valutazione dello stesso articolo 2043 c.c. e delle condizioni di risarcibilità. Le SS.UU. fanno notare come l'art. 2043 c.c. non è più norma secondaria volta a sanzionare la violazione dei divieti posti da altre norme, ma è norma primaria volta a "riparare" il danno ingiustamente sofferto in seguito all'operato altrui. Quindi la tutela risarcitoria va apprestata quando, in assenza di cause di giustificazione, vi sia la lesione di un interesse giuridicamente rilevante; consegue che, ai fini del risarcimento del danno, non ha più importanza la qualificazione formale del soggetto.
Detto ciò non si riconosce automaticamente la risarcibilità della lesione degli interessi legittimi. L'ingiustizia del danno è condizione necessaria ma non sufficiente a determinare l'applicabilità dell'art. 2043 c.c. alla lesione degli interessi legittimi, perché ciò avvenga è necessario un'interpretazione sostanziale di interesse legittimo.
Si potrà pervenire al risarcimento "...soltanto se l'attività illegittima della pubblica amministrazione, abbia determinato la lesione dell'interesse al bene della vita al quale l'interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell'ordinamento". L'interesse legittimo non è più degradato ad un minus rispetto al diritto soggettivo, in aderenza a quella dottrina che ha sempre combattuto questa tradizionale impostazione giurisprudenziale fortemente restrittiva. L'interesse legittimo, oltre a rilevare da un punto di vista strettamente processuale, mostra una valenza sostanziale in quanto correlato ad un interesse materiale (del titolare dell'interesse legittimo), ad un bene della vita. In realtà, solo la lesione dell'interesse al bene della vita può far concretizzare un danno patrimoniale.
L'ordinamento protegge l'interesse ad un bene della vita, mentre l'interesse legittimo o meglio la sua risarcibilità sorge solo quando il primo, sia nel senso del suo ottenimento (si pensi agli interessi legittimi pretensivi) sia nel senso del suo mantenimento (si pensi agli interessi legittimi oppositivi), si scontra con il potere dell'amministrazione di soddisfarlo o di sacrificarlo. La Suprema Corte, richiamata la definizione di interesse legittimo come posizione di vantaggio riconosciuta al soggetto in relazione ad un bene essenziale della vita, consente l'accesso alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c.. Solo quando vi sia stata la lesione tanto dell'interesse legittimo quanto dell'interesse al bene della vita, correlato all'interesse legittimo leso, vi potrà essere il risarcimento.
Come già richiamato in precedenza, si configurano in maniera del tutto nuova, rispetto alla consolidata impostazione giurisprudenziale, le condizioni di risarcibilità. Non sono più individuate attraverso la natura delle posizioni soggettive lese, bensì esse si determineranno mediante la combinazione di due serie aperte: quella dell'illecito civile caratterizzata dall'atipicità e la serie degli interessi meritevoli di tutela non tipizzati e variamente configurati dall'ordinamento.
La Suprema Corte, consapevole della rilevanza delle posizioni precedentemente assunte, provvede ad illustrare come avverrà la ripartizione delle controversie tra giudice ordinario e giudice amministrativo. Inoltre, espone "una sintetica summa" di ciò che il giudice deve fare (o che dovrebbe fare) quando gli viene proposta una domanda di risarcimento dei danni nei confronti della pubblica amministrazione, mostrando responsabilità nello svolgimento della funzione nomofilattica.
Subito vi è da precisare come la nuova interpretazione dell'articolo 2043 c.c., eliminando la distinzione basata sulla qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto ai fini del riconoscimento della responsabilità aquiliana, trasforma la questione pregiudiziale sul risarcimento del danno da questione di giurisdizione a questione di merito. Ciò è dovuto al fatto che il danno ingiusto è tale se lede un interesse giuridicamente rilevante e non, come prima, solo quando lede un diritto soggettivo; una questione di giurisdizione è eventualmente prospettabile allorquando sussiste, in relazione alla materia nella quale è sorta la controversia, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo mentre l'azione è stata proposta davanti al giudice ordinario.
Detto ciò, si precisa come per i giudizi pendenti al 30 giugno 1998 -nelle materie riservate alla giurisdizione esclusiva dal D.Lgs. 80/98, in applicazione della normativa transitoria prevista dall'articolo 45 comma 18 del D.Lgs. dinanzi citato- la competenza circa l'azione di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. nei confronti della pubblica amministrazione, in seguito ad un provvedimento della stessa dichiarato illegittimo, è proposta davanti al giudice ordinario. Egli è l'unico competente a conoscere della lesione dei diritti soggettivi, tra cui si annovera anche il diritto al risarcimento del danno.
Per i giudizi relativi a controversie instaurate successivamente al 1° luglio 1998, nelle materie attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo "sia essa "nuova" o "vecchia"", nulla quaestio: il giudice amministrativo ha una competenza piena di annullamento e di risarcimento. Infine per i giudizi pur successivi al 1° luglio 1998, relativi a controversie in materie non riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle quali si chiede il risarcimento del danno, è competente il giudice ordinario che potrà accertare anche l'illegittimità dell'azione amministrativa. Ciò avverrà senza che il soggetto leso interpelli prima il giudice amministrativo per farsi annullare l'atto illegittimo. L'illegittimità potrà essere accertata dal giudice ordinario, in quanto essa rappresenta "uno degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all'art. 2043 c.c.".
Abbiamo detto come la Suprema Corte indichi anche l'iter che il giudice ordinario deve percorrere al fine di individuare se la fattispecie in concreto dedotta sia riconducibile o meno alla sfera di applicazione dell'art. 2043 c.c.. La sequenza logica di formazione del convincimento del giudice richiede:
a) l'accertamento della sussistenza di un evento dannoso;
b) la qualifica del danno come ingiusto, in quanto incidente su un interesse giuridicamente rilevante individuato attraverso un giudizio comparativo, tra l'interesse al bene del danneggiato e quello del danneggiante, da cui risulti la prevalenza per l'ordinamento dell'interesse del danneggiato;
c) l'accertamento della riferibilità del presunto evento dannoso ad un comportamento della pubblica amministrazione (andrà verificato il nesso di causalità applicando, i ben noti, criteri generali);
d) l'accertamento ai fini dell'imputabilità del presunto evento dannoso ad un comportamento doloso o colposo della pubblica amministrazione.
Non è sufficiente l'illegittimità della condotta della pubblica amministrazione, è necessaria la valutazione della "colpa" dell'amministrazione. Essa sarà configurabile allorquando la pubblica amministrazione abbia agito senza rispettare i principi di imparzialità, buona amministrazione e correttezza ai quali deve essere ispirata la sua azione. E' l'ultimo il punto meno convincente: il comportamento doloso o colposo viene riferito alla pubblica amministrazione e non ai suoi agenti. Sembra, inoltre, che il Supremo Giudice abbia avuto più a cuore l'instaurazione di un nuovo regime processuale, incentrato sull'abbandono della pregiudiziale amministrativa, piuttosto che la natura della responsabilità della pubblica amministrazione. Vi è da precisare che l'accertamento della natura colposa della responsabilità della pubblica amministrazione, è il frutto del crollo di quell'altro orientamento giurisprudenziale basato sull'equivalenza tra atto illegittimo e condotta illecita, che esimeva il giudice dall'accertare la colpa. Secondo la visione della Suprema Corte, queste sono le indispensabili premesse per raggiungere un auspicabile obiettivo: la concentrazione in capo al giudice ordinario di tutte le questioni relative alle materie non devolute al giudice amministrativo, "una sorta di concentrazione di tutela" simile a quella che avviene nel caso della giurisdizione esclusiva. Così come sottolineato dalla dottrina, non avremo più una giurisdizione ripartita tra due giudici, bensì due giurisdizioni autonome e con cognizione piena. Entrambe le giurisdizioni, nelle materie di rispettiva competenza, potranno eventualmente stabilire il risarcimento del danno come misura alternativa all'annullamento dell'atto e potranno anche utilizzare altre misure compensative, risarcitorie, ripristinatorie, indennitarie, reintegrative in forma specifica a seconda della natura del danno.

Considerazioni conclusive

Sicuramente la sentenza rappresenta un punto di confluenza tra molteplici esigenze tutte espressamente poste in rilievo: l'erroneità di una valutazione restrittiva dell'interesse legittimo, l'incompatibilità dello stesso con il diritto comunitario, un'interpretazione strumentale dell'art.2043 c.c., ed altre già richiamate precedentemente. Quello che però lascia perplessi è rappresentato dalle indicazioni circa il modus operandi che il giudice ordinario dovrà adottare all'indomani della sentenza, sia sotto il profilo della competenza del giudice ordinario, sia sotto il profilo degli elementi necessari per riconoscere il risarcimento a carico della pubblica amministrazione.
La Suprema Corte ha riconosciuto la possibilità, in capo al giudice ordinario, di conoscere delle controversie relative al risarcimento del danno per la lesione degli interessi legittimi ed in questo modo sembrerebbe che non abbia apportato alcuna novità. Al contrario, le SS.UU. hanno aggiunto che non è necessario il previo accertamento dell'illegittimità dell'atto lesivo ad opera del giudice amministrativo.
La Corte ha, quindi, auspicato un abbandono della "pregiudiziale amministrativa", invitando il giudice ordinario stesso ad accertare l'illegittimità dell'atto amministrativo.
Riconoscere al giudice ordinario (in sede di cognizione dell'azione ex art. 2043 c.c. per la lesione di interessi legittimi) la possibilità di accertare l'illegittimità dell'atto amministrativo, in quanto esso è elemento costitutivo del danno ingiusto, rappresenta uno stravolgimento dei principi costituzionalmente sanciti. All'art. 24 della Carta Costituzionale si parla di una pari dignità dell'interesse legittimo e del diritto soggettivo e si prosegue sancendo una diversa giurisdizione per l'accertamento di entrambi attraverso un'attribuzione alla competenza del giudice amministrativo, delle questioni riguardanti gli interessi legittimi (art.103 Cost.).
Questo stravolgimento dell'ordine costituzionale ha anche degli effetti concreti: non è da escludere un contrasto di giudicati tra giudice amministrativo e giudice ordinario o un consolidamento di una situazione per il diritto amministrativo e la contemporanea irrilevanza della stessa per il diritto civile.
In relazione all'ipotesi di contrasto di giudicati si pensi che, in base all'impostazione anzidetta, il soggetto al quale è stato negato l'annullamento dell'atto (presuntivamente lesivo dell'interesse legittimo) da parte del giudice amministrativo può proporre azione di risarcimento del danno davanti al giudice ordinario. Il giudice ordinario, quindi, potrà conoscere della legittimità dell'atto della P.A. e, accertata la lesione dell'interesse legittimo, tramite l'atto della stessa P.A., riconoscerà il risarcimento del danno. Si avrà così un giudice (ordinario) che riconosce l'illegittimità dell'atto e quantifica il risarcimento del danno, e un altro giudice (amministrativo) che dichiara la legittimità dello stesso atto che, in sede civile, ha determinato il risarcimento.
Altra ipotesi interessante è quella che vede un "consolidamento" dell'atto illegittimo della pubblica amministrazione per mancata impugnazione di esso nei termini previsti. Il fatto che l'atto non venga impugnato nei brevi termini del procedimento amministrativo, non esclude che lo stesso possa essere ritenuto illegittimo da parte del giudice ordinario. Quest'ultimo potrà conoscere della questione di risarcimento per la lesione degli interessi legittimi, quindi anche della legittimità dell'atto, anche in un tempo molto lontano rispetto alla cognizione del giudice amministrativo.
Un motivo di sicura riflessione è rappresentato dal regresso, immediatamente posto in evidenza dalla dottrina più attenta, verificatosi in relazione all'imputabilità della condotta al dolo o alla colpa della P.A.. Uno dei pochi punti chiari dell'impostazione della Cassazione, precedente alla sentenza n. 500 del 1999, era sicuramente rappresentato dal considerare accertata la colpa della P.A. nel momento in cui veniva individuata l'illegittimità dell'atto amministrativo. Invece, la Cassazione ha stabilito che non c'è più una colpa oggettiva bensì la colpa va accertata valutando la correttezza, l'imparzialità e la buona amministrazione del procedimento amministrativo, in quanto questi rappresentano i limiti esterni della discrezionalità. In effetti il soggetto per poter arrivare al risarcimento del danno dovrà dimostrare la colpa della P.A.. La Cassazione, però, non ha chiarito se tale impostazione debba essere seguita quando si tratti anche di diritti soggettivi o solo quando si tratti di interessi legittimi, quest'ultima sarebbe l'impostazione più "efficiente".
Infatti nel momento in cui l'atto amministrativo è lesivo di un diritto soggettivo il comportamento della P.A. è già colposo in quanto rappresenta una violazione di norme, regolamenti o anche solo di regole di prudenza che l'amministrazione avrebbe dovuto rispettare. In relazione a ciò, sarebbe pretestuoso, oltre che eccessivamente vessatorio nei confronti del cittadino, richiedere un ulteriore dimostrazione dell'illecito comportamento dell'autorità amministrativa; precisiamo che l'annullamento dell'atto illegittimamente restrittivo di un diritto soggettivo è elemento, necessario e sufficiente, per una decisione favorevole al soggetto leso. Volendo chiudere la piccola parentesi riflessiva si deve, obiettivamente, riconoscere che la Corte ha voluto aprire "un paracadute" per evitare di precipitare in una miriade di richieste di risarcimento del danno; ciò non esclude molti dubbi sulle modalità tramite le quali si arriverà a riconoscere la responsabilità della P.A..
Per concludere, si può fare un appunto a coloro i quali si ponevano un problema di compatibilità tra le posizioni giuridiche subiettive riconosciute dal nostro ordinamento ed il diritto comunitario. Questa dottrina, da sempre preoccupata dalla difficoltà di illustrare la dicotomia tra interessi legittimi e diritti soggettivi, ai fini del risarcimento del danno, avrà ulteriori grattacapi. Ora bisognerà spiegare la differenza tra diritti soggettivi, interessi legittimi ed interessi legittimi correlati ad un bene della vita: siamo passati da una dicotomia ad una tricotomia.