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Cassazione: i figli vanno mantenuti se non trovano un lavoro adeguato

Scritto da Francesca Orlandi

Commento a Cassazione sez.I civile, sentenza n. 4765/ 2002

E' di poche settimane fa la sentenza della Corte di Cassazione che, con un dispositivo che ha fatto molto discutere, ha respinto il ricorso di un padre che si rifiutava di mantenere il figlio -ormai trentenne- ribadendo il dovere del genitore di versare a quest'ultimo un assegno mensile di mantenimento.
Nel caso in esame, la Corte Suprema è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di una sentenza della Corte d'Appello di Napoli (sent.14 ottobre - 3 novembre 1999) che confermava una sentenza di separazione personale tra coniugi (Trib. Napoli, 11-24 giugno 1998) nella parte in cui fissava a carico del marito l'assegno mensile di lire 1.500.000 (pari a 775 euro) per il mantenimento del figlio, attualmente convivente con la madre.
La Cassazione, in proposito, ha rilevato innanzitutto che, ai sensi dell'art. 148 c.c., grava su entrambi i genitori, nonostante la loro separazione, l'obbligo di provvedere al mantenimento del figlio divenuto maggiorenne qualora questi non abbia ancora conseguito, senza sua colpa, un reddito tale da renderlo economicamente autonomo. Pertanto, il dovere di mantenere la prole, che costituisce un'obbligazione ex lege, non cessa automaticamente con il compimento della maggiore età, ma persiste finché il genitore o i genitori dimostrino che il figlio ha raggiunto l'indipendenza economica ovvero è stato posto nelle condizioni concrete per essere autosufficiente (Cass. 2289/01; Cass. 91909/99; Cass. 2670/98; Cass. 7990/96; Cass. 8383/96; Cass. 13126/92; Cass. 7295/91; Cass. 12212/90; Cass. 475/90).
La Corte quindi individua a carico del genitore interessato l'onere di provare che il figlio sia divenuto economicamente indipendente ovvero che il mancato svolgimento di un'attività lavorativa dipenda da sua inerzia o da un suo rifiuto ingiustificato.
Nel caso in oggetto, i giudici non hanno ravvisato circostanze idonee a dimostrare l'autosufficienza del figlio, il quale appare invece ancora impegnato nel completamento della propria formazione professionale ed hanno altresì affermato che non può considerarsi colpevole il figlio che rifiuta una sistemazione lavorativa "non adeguata rispetto a quella cui la sua specifica preparazione, le sue attitudini ed i suoi effettivi interessi sono rivolti, quanto meno nei limiti temporali cui dette aspirazioni abbiano una ragionevole possibilità di essere realizzate e sempre che tale rifiuto sia compatibile con le condizioni economiche della famiglia".
La Suprema Corte ha dunque sostenuto la necessità di fare riferimento alle "aspirazioni, capacità, percorso scolastico, universitario e post-universitario" dei figli e ciò a prescindere dalla loro età, ribadendo così quanto sancito dall'art. 147 c.c., il quale fissa come dovere dei coniugi mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli stessi .
Va sottolineato, comunque, che sono stati indicati alcuni limiti a favore dei genitori: innanzitutto un limite temporale, che è quello entro il quale le aspirazioni dei figli possono concretizzarsi con "ragionevole possibilità"; in secondo luogo un limite sostanziale costituito dalle condizioni economiche della famiglia.
Certo è che questi criteri sono soggetti comunque ad una valutazione discrezionale del giudice, in quanto non sono determinabili, nella maggior parte dei casi, con esattezza. Tanto più che la stessa sentenza della Cassazione specifica che bisogna considerare anche la situazione attuale del mercato del lavoro, "con specifico riguardo al settore nel quale il figlio abbia indirizzato la propria formazione e specializzazione, investendo impegno personale ed economie familiari".