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Relazione sulla conferenza “Diritto all'identità personale e diritto all'oblio”

Scritto da Marta Calabrese

Il 14 maggio 2015, alle ore 14:30, si è tenuto a Roma, presso l'Aula Magna della Corte Suprema di Cassazione, un convegno di formazione organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura sul "Diritto all'identità personale e diritto all'oblio".

Nella seguente relazione riporterò le argomentazioni e le questioni di maggior rilievo che sono state affrontate.

La società dell'informazione manifesta sempre di più un'esigenza di contemperamento di interessi: il diritto alla riservatezza, come diritto fondamentale e la sua tutela basata sul principio di effettività quale limite del diritto di informazione, trovano nell'evoluzione delle tecnologie informatiche, un fattore di ulteriore spinta evolutiva.

A riguardo, è bene osservare che, di fronte ad un sostanziale immobilismo del legislatore italiano ed europeo, il dialogo tra le corti di maggior prestigio ha contribuito alla nascita del c.d. diritto all'identità digitale.
Così, il limite al diritto all'informazione, non può più essere ravvisato nel solo diritto alla riservatezza, ma anche nel diverso ed autonomo diritto all'identità personale o morale, diretto alla corretta rappresentazione dell'immagine di ogni individuo nella società. Di contro poi, si è affermato, come strumento posto a salvaguardia del diritto all'identità personale, leso dalla mera permanenza della notizia negli archivi online, il diritto all'oblio.

Questo mutamento, ha determinato una prorompente volontà di estendere la nuova accezione dinamica assunta da quest'ultimo diritto, anche alla realtà offline, per evitare la compresenza di una stessa situazione giuridica soggettiva dal duplice significato.

L'aspetto che oggi colpisce di più è una nuova realtà proiettata nella Rete, dove non si entra ma si vive e che assume i connotati propri di una variabile moltiplicatrice. Il sistema delle relazioni interpersonali acquisisce aspetti poliedrici dove la continua esposizione virtuale alle opinioni altrui rischia di attirare su di sé giudizi indesiderati. La memoria della Rete, non è un archivio, ma assomiglia molto di più a un deposito dentro il quale è possibile eventualmente ritrovare degli archivi. In questo nuovo scenario, è soprattutto l'identità del singolo che viene messa a repentaglio. Infatti, le informazioni
immesse nella Rete da chiunque, possono non corrispondere a verità o possono distorcere la vera essenza dell'individuo laddove siano lontane dal rappresentare la sua attuale identità.

Nell'era digitale resta traccia di tutto: delle idee, dei gusti e delle opinioni. La notizia diviene eterna, non ha limiti temporali, e questo legittima a chiedersi, in una realtà proiettata verso la telematicità, quando essa debba essere cancellata e quando invece possa essere rimossa e dimenticata dalla memoria collettiva. La risoluzione di questi problemi è l'adozione di un'adeguata protezione dei dati personali: unica garanzia idonea ad evitare che le tecnologie emergenti si traducano in strumenti potenzialmente lesivi della nostra riservatezza.

Il diritto all'oblio non può essere considerato un diritto di nuova emersione, in quanto la cultura letteraria occidentale ha sempre fatto riferimento ad esso quale valore fondamentale che si contrapponeva e si bilanciava con quello della memoria: si ricordi ad esempio il riferimento al fiume Lete, emblema dell'oblio nella mitologia greca e romana, ripreso nel libro X della Repubblica di Platone, nell'Eneide di Virgilio e nel Purgatorio di Dante quale passaggio obbligato per la reincarnazione e purificazione delle anime prima di ascendere al Paradiso.

Dal punto di vista giuridico la nozione diritto all'oblio è stata adottata per la prima volta da Giovan Battista Ferri, in una relazione intitolata "Diritto all'informazione e diritto all'oblio" e pubblicata sulla Rivista Diritto civile del 1990. A ciò seguì un convegno sul diritto all'informazione al fine di originare riflessioni su tale argomento fino allora poco esplorato dalla dottrina civilistica.

Nel tracciare i profili essenziali dell'istituto, Ferri ricordava che esso, pur appartenendo alle "ragioni e alle regioni del diritto alla riservatezza" era in grado di ricomprendere anche le "cupe e aspre tonalità di diritto al segreto e al disonore"(per usare una formula adottata ma poi non più utilizzata da una sentenza della Cassazione del 1956).

L'interesse allo studio di questo tema, ha trovato un forte riscontro a seguito della diffusione dei mass media e della loro intrusione nella vita privata dei singoli e, dunque, dalla necessità di assicurare loro un'adeguata protezione. Il diritto all'oblio in tale ambito si risolve nella pretesa a non vedere rievocati accadimenti della propria vita passata e si identifica con l'interesse del soggetto, le cui vicende furono pubblicizzate, a rientrare nell'anonimato, dopo che lo stesso, nel passato, per il ruolo rivestito o per l'attività svolta, aveva suscitato un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti che lo riguardavano.

Tale situazione giuridica soggettiva si pone così a salvaguardia del riserbo, imposto dal trascorrere del tempo, su una notizia già resa di dominio pubblico e già sepolta, e viene concepito e rielaborato insieme alle questioni attinenti al diritto alla riservatezza ed all'identità personale. Esso, inoltre, è un diritto fondamentale nell'ambito delle tecnologie digitali, paragonabile a quelli riferibili alla persona. Esso altro non è che una esplicazione del diritto all'identità personale, affondando in quest' ultimo le proprie radici. L'identità personale inoltre, quale bene giuridico protetto dal diritto in esame, non può configurarsi né con l'immagine che il soggetto ha di sé (verità personale), che può in ipotesi estreme anche essere scollegata dalla realtà, né con l'insieme dei dati oggettivi riferibili al soggetto (verità storica), ma l'immagine, socialmente mediata o oggettivata, dell'individuo stesso.

L'Unione Europea riconosce tale diritto ritenendo legittimo e doveroso rimuovere le informazioni, come una sorta di lavagna digitale periodica cancellabile nel tempo, capace di consentire l'oblio delle proprie formulazioni richiamabili e gestibili nuovamente solo con il consenso dell' interessato.

Esso, inoltre, anche se non forma oggetto di una disciplina normativa specifica, può essere dedotto da alcune norme del nostro ordinamento giuridico che indirettamente alludono alla tutela dell'interesse sostanziale, a nascondere informazioni sulla propria vita passata suscettibili di mettere in falsa luce il soggetto interessato, come nel caso dell'art. 5 della Legge 14 aprile 1982 n.164 in virtù della quale le attestazioni di stato civile riferite ad una persona della quale sia stata rettificata l'attribuzione di sesso sono rilasciate con la sola indicazione del nuovo sesso e nome.

Ma il fondamento giuridico di questa situazione soggettiva può essere rintracciato anche nel diritto comunitario e internazionale, e segnatamente in quelle norme che contemplano una tutela del diritto alla riservatezza come l'art. 12 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, l'art.8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e gli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea.

Il diritto all'oblio costituisce, dunque, un evento di un graduale procedimento evolutivo giurisprudenziale che ha condotto all'emersione di una situazione soggettiva ricca nei suoi principali tratti costitutivi. Grazie a questa configurazione di diritto soggettivo e alla sua potenziale riconduzione all'art. 2 della nostra Costituzione, esso gode di un ampia tutela a partire da quella inibitoria e risarcitoria.

La pronuncia di maggior rilievo, passata alle cronache come quella che ha riconosciuto espressamente il diritto all'oblio, è quella del 13 Maggio 2014 della Corte di Giustizia europea che ha visto opporsi Google Spain contro un cittadino spagnolo Mario Costeja Gonzalez, il quale aveva richiesto all' Agencia Espanola de Protecciòn de Datos, la rimozione dai risultati elaborati dal motore di ricerca di informazioni che lo riguardavano.

Tale statuizione non solo ha riconosciuto il diritto dell'interessato ad ottenere la deindicizzazione dei dati personali (diritto già previsto dalla nostra Direttiva 95/46), ma, per la prima volta, ha sancito il principio in base al quale le richieste di cancellazione possono essere avanzate direttamente al motore di ricerca ancorché le informazioni siano state originariamente pubblicate, anche in modo legittimo, su altri siti e successivamente indicizzate da Google.

Un ulteriore aspetto intrinseco che può ricavarsi dalla pronuncia in esame, che ha spinto la Corte, a differenza delle volte precedenti, a distaccarsi totalmente dal giudizio dell'Avvocato Generale, riguarda l'affermata supremazia statunitense sulle comunicazioni europee accentuatasi a seguito dell'attentato alle Torri gemelle in cui i controlli sui dati e le informazioni, anche nei confronti dei cittadini europei, aumentarono in modo spropositato. Con questa statuizione, infatti, il giudice lussemburghese, anche a seguito delle rivelazioni di Snowden, volle affermare la supremazia della normativa europea sui dati e le comunicazioni che riguardavano i propri cittadini, proprio come reazione a questa eccessiva egemonia americana.

A tal proposito, sono state ricordate alcune pronunce della tradizione giuridica oltreoceano, che hanno richiamato, in un modo o nell'altro, il diritto all'oblio noto come " right to be forgotten", confermando con ciò, che tale diritto in realtà non era estraneo a tale continente, differentemente da quanto era stato sostenuto da alcuni commentatori. In particolare, nel caso Melvin v. Reid, la Corte d'appello della California sembrava aver gettato le basi per il riconoscimento di un diritto all'oblio. La vicenda riguardava un'ex prostituta, all'epoca accusata di omicidio e poi assolta che, nonostante nel corso del tempo avesse cambiato vita, il film " Red Kimono" ne riproponeva la storia. La Corte respinse le argomentazioni difensive nel giudizio intentato contro i produttori della pellicola, sostenendo che ciascun individuo, vivendo secondo rettitudine, aveva diritto a ricercare e ottenere la felicità, comprendente anche la libertà da ogni offesa alla propria reputazione.

Questo primo approccio alla tutela di un eventuale diritto all'oblio fu però contraddetto da una successiva pronuncia nel caso Sidis v. F-R Publishing Corporation.

Questa vicenda riguardava la storia di un bambino prodigio il quale, nonostante avesse già acquisito una certa notorietà tra il pubblico per le sue straordinarie doti intellettive, decise di intraprendere una vita normale. Alcuni anni dopo, quando il ragazzo divenne adulto, la sua storia fu ripresa dal New Yorker Magazine. Così, egli presentò ricorso davanti l'Autorità giudiziaria che tuttavia respinse la sua domanda argomentando che, nel caso in cui un personaggio avesse acquisito rilevanza pubblica, le informazioni che lo riguardavano venivano considerate di interesse sociale e per questo motivo non gli era consentito di bloccarne la divulgazione in modo da tornare all'anonimato.

Riprendendo l'analisi della sentenza Google Spain, è stato, inoltre, evidenziato come essa si collochi in un contesto in cui al rapporto bilaterale tra cittadini e istituzioni, che attraverso i codici e le norme hanno disciplinato le regole attraverso le quali si articola la vita di relazione nella dimensione fisica tradizionale, si aggiunge il bisogno di una più puntuale riflessione sui presidi che si rendono indispensabili nella nuova dimensione digitale in cui si sviluppa una parte fondamentale della vita di tutti i cittadini. Questo pone al centro del dibattito il rapporto tra diritto, tecnologie, informazione e libertà.

Grazie alla sincronia tra la pronuncia Google Spain e un'altra di poco più remota della stessa Corte, c.d. Digital rights, si è riuscito ad affermare un principio fondamentale: online i diritti devono godere della stessa tutela loro riconosciuta offline, poiché l'identità digitale non è meno personale di quella reale. Questa affermazione si colloca nell'ambito di una rinnovata sensibilità al diritto della protezione dei dati personali, figlia del datagate. Nella coscienza collettiva si è dunque affermato il valore democratico e liberale della privacy come limite che nessun governo può violare nel suo nucleo essenziale. L'habeas data di oggi, dunque, diviene l'equivalente dell'habeas corpus di ieri, ma questa sensibilità verso la privacy è dovuta anche al dialogo tra le Corti che si sono fatte portatrici dell'esigenza di adeguare le norme vigenti ad una tecnologia sempre meno neutra perché difficilmente regolabile nella sua evoluzione incessante. Nella concreta applicazione della normativa, si cerca di coniugare umanità e tecnica, scienza e libertà dal determinismo.

Le Corti e le Autorità indipendenti si fanno carico di questa esigenza più e prima del legislatore e della politica, dal momento in cui sono consapevoli della necessità di rendere più vivo, nel rapporto con la concretezza dei singoli casi, un diritto che altrimenti potrebbe apparire astratto all'intera umanità. Le sentenze con cui la Corte di Giustizia ha riscritto il rapporto tra privacy e sicurezza, da un lato, e tra dignità e informazione dall'altro, ne sono l'esempio significativo. Con la pronuncia Digital rights, sono state tracciate, infatti, alcune cautele essenziali atte a prevenire che strumenti esplicativi preziosi si trasformino in mezzi di sorveglianza di massa. Tale scopo è stato perseguito in particolar modo, imponendo un test di proporzionalità per tutti i mezzi di prova che comportano una limitazione delle libertà individuali e particolari della persona umana.

Invece, con l'altra sentenza, Google Spain, si è affermata, tra l'altro, la prevalenza dei diritti fondamentali sugli interessi economici e monopolisti della Rete in armonia con il principio personalista previsto dalla Carta di Nizza, che sancisce l'autonomia del diritto alla protezione dei dati personali a quello della intangibilità della vita privata. Entrambe le pronuncia, dunque, appaiono funzionali alla tutela della dignità della persona.

Il diritto all'oblio risulta ricomprendere una serie di ipotesi tra loro eterogenee: dai dati legittimamente raccolti in origine, ma dei quali l'interesse pubblico sia ormai scemato in ragione dei tempo trascorso, a quelli non più esatti perché non aggiornati agli sviluppi successivi.

Per questo con una piena corrispondenza tra il profilo sostanziale e procedurale, il diritto in questione deve potersi avvalere di un'ampia gamma di strumenti, ciascuno rispondente a specifiche esigenze di tutela diversamente cumulabili in ragione delle caratteristiche della fattispecie concreta e del bilanciamento da realizzarsi di volta in volta con gli interessi in gioco.

Si parla, dunque, di diritto "di" ed "alla" informazione. Così alla cancellazione dei dati trattati illegittimamente deve affiancarsi l'integrazione delle notizie inesatte perché superate, la loro rettificazione e la indicizzazione di quelle veritiere ma ormai risalenti nel tempo per le quali si giustifichi non già la rimozione dal sito sorgente, bensì l'oscurazione. La vera qualifica del diritto all'oblio può, quindi, configurarsi come strumento idoneo a coniugare memoria collettiva e storia individuale, e non come un mezzo di abuso dell'auto rappresentazione o potere di riscrittura della storia.

Nel prosieguo della conferenza è stato compiuto un excursus sulla nozione di diritto all'oblio, che ha assunto tre diversi significati con l'evolversi del tempo: il primo, risalente agli anni '90, cioè prima che prendesse il sopravvento questa grande memoria della Rete, lo concepisce come diritto di un soggetto a non vedere ripubblicate delle informazioni relative a vicende già legittimamente pubblicate. Il riferimento alla "ripubblicazione" della notizia attiene, per quei tempi, alla divulgazione della stessa attraverso gli strumenti cartacei, e dunque la stampa e i giornali, oppure attraverso i mezzi di comunicazione allora più diffusi come la televisione.

Successivamente, con l'avvento di Internet, viene meno la necessità di "ripubblicare" la notizia, semplicemente perché essa rimane in Rete, nessuno ha l'interesse a cancellarla se già resa nota.

Dunque, a differenza del passato, in cui il diritto all'oblio faceva riferimento a un duplice evento "la pubblicazione" e la "ripubblicazione", oggi la notizia permane su Internet, quindi si ravvisa un continuum non sussistendo eventi temporali separati. Per questo motivo, tale situazione giuridica soggettiva si traduce, con la seconda accezione, nell'esigenza di collocare la pubblicazione, avvenuta nei tempi passati, nel presente.

Il bisogno di "cancellare" si tramuta in quello di "contestualizzare", come è stato d'altronde affermato nella decisione della Corte di Cassazione n. 5525 del 2012. Dunque, mentre nell'era "pre-Internet" esso era configurato come negazione, nell'era "post-Internet" esso diventa un'aggiunta di informazione.

L'ultima accezione è quella data dalla sentenza della Corte di Giustizia "Google Spain". Essa, come già esplicitato, ha rappresentato una novità in merito alla normativa da applicare, alla responsabilità del motore di ricerca, alla possibilità di potersi rivolgere direttamente a quest'ultimo, ma non rispetto a quanto già previsto dall'art.14 della Direttiva 95/46, che contemplava il diritto a ottenere la cancellazione dei propri dati, ravvisabile, inoltre, anche nell'art.7 del Codice per la protezione dei dati personali.

Dunque, il terzo significato di diritto all' oblio è equiparabile al diritto ad ottenere la cancellazione dei propri dati.

Dall'analisi di quanto sopra, è emerso che tre distinti diritti sono sottesi alle tre rispettive accezioni: nella prima, pre-Internet, il bene giuridico tutelato era quello alla riservatezza, nella seconda ,il diritto alla contestualizzazione e, quindi, il diritto all'identità personale, ed infine con la statuizione della Corte di Giustizia il diritto che si è inteso tutelare, attraverso lo strumento del diritto all'oblio, è quello alla corretta rappresentazione della propria identità online, che a sua volta è connotato da una natura dinamica, e le svariate sfaccettature che essa ricomprende quali il diritto all'onore, alla reputazione, alla riservatezza, alla rettifica e alla protezione dei dati personali.

Tutte le precitate considerazioni, emerse durante i lavori congressuali, hanno configurato, pertanto, il diritto all'oblio come mero strumento di tutela del diritto ad esso sotteso, e non, come è stato previsto nel nuovo Regolamento, come diritto autonomo e indipendente da quest'ultimo.

E' stato, inoltre, specificato, che in virtù delle modalità di gestione e organizzazione dei contenuti disponibili online, il diritto all'oblio dell'interessato si traduce in una sorta di diritto alla non reperibilità del dato: infatti, l'informazione ospitata sul sito web cui il link indicizzato puntava, continuerà ad esistere nella sua ubicazione originaria, ma nei fatti non sarà raggiungibile dalla maggior parte degli utenti europei. Non si tratta dunque di un vero e proprio "right to be forgotten" quanto piuttosto di un "right not be found easily".

Un ultimo problema, non sufficientemente affrontato, sorto durante il dibattito, riguarda l'imminente evolversi di un processo penale reale: oggi, infatti, assistiamo ad un fenomeno in base al quale accanto al processo vero e proprio viene ad affiancarsi quello mediatico, in cui tutti possono assumere un ruolo, formulare giudizi, concorrere a creare, migliorare o peggiorare il futuro di un soggetto imputato, delineandosi una figura di persona colpevole sottoposta al controllo dei protagonisti mediatici e rischiando così di sbiadire quelle garanzie procedimentali e costituzionali poste alla base del giusto ed equo processo.