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La conclusione dei contratti su internet

Scritto da Andrea Zoppini

Il lavoro in oggetto si inserisce nel quadro della tematica concernente l'attività negoziale su internet, con uno sguardo particolare rivolto all'esame dei problemi che il contratto concluso attraverso gli strumenti telematici solleva, e con la finalità di ricostruire un ideale tessuto connettivo tra le singole discipline di settore.

Il contratto concluso attraverso un elaboratore elettronico collegato in rete solleva problemi che investono essenzialmente l'accordo e la forma (cfr. art. 1325 c. civ.). Per quanto concerne l'accordo, si tratta evidentemente di un contratto concluso tra parti distanti (così come potrebbe avvenire per un accordo raggiunto telefonicamente o per lettera), il che impone in primo luogo di verificare come si realizza lo scambio di proposta e accettazione. Il problema pratico di più significativo momento concerne la qualificazione del catalogo interattivo che compare nelle pagine web del venditore, in cui il compratore può scegliere i beni o i servizi offerti nel negozio elettronico (c.d. e-shop). Ci si è chiesti se nella predisposizione della pagina interattiva siano integrati gli estremi dell'offerta al pubblico (ai sensi dell'art. 1336 c. civ.) o, invece, se si tratti di un invito ad offrire. La differenza sul piano pratico consiste nel fatto che nel primo caso la dichiarazione del compratore conclude il contratto, mentre nel secondo si tratta di una proposta.

Ritengo che non sia possibile rispondere senza verificare in concreto come avviene lo scambio dei messaggi, anche se, in linea di principio, sono propenso a ritenere che in questa forma di contrattazione l'impegnatività sul piano sociale si verifica al momento in cui l'acquirente fornisce l'indicazione dei mezzi di pagamento e dà il definitivo ordine di invio.

Il contratto, ai sensi dell'art. 1326 c. civ., si conclude nel tempo e nel luogo in cui il messaggio elettronico giunge alla parte offerente. Merita a questo riguardo sottolineare che il nostro sistema non richiede la conoscenza in senso psicologico della dichiarazione, ma la conoscibilità della stessa. Pertanto, la dichiarazione effettuata a mezzo e-mail sarà efficace appena è memorizzata dalla cassetta di posta elettronica del destinatario (cfr. art. 12 del regolamento sulla firma elettronica), indipendentemente dal momento in cui questi ne prende visione. Un indice significativo a conforto di questa soluzione - che vale per tutte le dichiarazioni recettizie (art. 1335 c. civ.) - può trarsi per le notifiche a mezzo telex nelle ipotesi autorizzate dall'art. 151 c.p.c.: dalla circostanza che l'apparecchio ricevente è presso la sede del destinatario, si presume che il messaggio sia stato ricevuto direttamente da costui.
E' però evidente che lo scambio di proposta e accettazione attraverso internet può determinare una situazione di incertezza quanto alla data e al luogo di conclusione del contratto, come dimostra l'esperienza delle polizze di carico elettroniche (electronic bill of lading). Il problema per queste ultime è stato risolto con l'emissione della polizza nella forma tradizionale che è consegnata ad una società agente; quest'ultima poi verifica, a seguito dei trasferimenti elettronici della test key, chi è il legittimato finale della prestazione

Un altro ordine di problemi che solleva lo scambio in forma elettronica di proposta e accettazione, concerne la ripartizione del rischio inerente la trasmissione del messaggio tra dichiarante e ricevente. Il problema è quello di verificare su chi incombe il rischio del mancato funzionamento degli strumenti tecnici di trasmissione e recezione. La soluzione - ai sensi dell'elaborazione giurisprudenziale del tema - è nel senso che la dichiarazione si considera conosciuta nel momento in cui entra nella sfera di controllo del ricevente, che potrà contestare la mancata recezione solo nei casi in cui ciò non dipenda da un fatto a lui riferibile. Ad esempio: se trasmetto un fax e il rapporto di trasmissione dà "OK", il mancato o difettoso funzionamento dell'apparecchio ricevente si imputa al destinatario del messaggio. Pertanto, quando si tratta di un fax, l'esibizione del documento che indica gli estremi di chi ha emesso la dichiarazione potrà essere apprezzato come una presunzione dell'avvenuto invio. (Merita però sottolineare che sul punto si è espressa la Suprema corte tedesca, BGH 7 dicembre 1994, assumendo un orientamento estremamente prudente: ha ritenuto essere il rapporto di trasmissione un indizio.)
Differente dal caso in cui si contesti la paternità del documento, è quello in cui oggetto di contestazione sia l'invio stesso del documento. Il problema si collega più in generale al quesito se e in che misura rispetto alle chiavi di accesso o di identificazione informatiche debba sussistere un onere di custodia a carico del soggetto identificato (così come, peraltro, lascia supporre il recente decreto sulla firma elettronica all'art. 9).

Sembra opportuno, a questo punto, avvertire che vi sono due modi in cui è possibile concettualizzare il problema della conclusione del contratto su internet.

a) Il primo è quello che pone il problema di applicare la disciplina del contratto in generale e, dunque, di verificare in che termini le regole generali previste per il contratto trovino applicazione quando lo strumento di trasmissione della volontà è il mezzo elettronico.

b) Una seconda prospettiva è quella che tende ad atomizzare l'accordo contrattuale attribuendo significato autonomo alle dichiarazioni prenegoziali.

Le due alternative concettuali si mostrano in maniera sufficientemente nitida con riguardo alle varie ipotesi di patologia dell'accordo contrattuale. Nella prima prospettiva si vuole verificare in che modo sia possibile applicare la disciplina dei vizi della volontà, così come si sarà tendenzialmente propensi a ritagliare uno spazio all'incapacità del dichiarante.
Nella seconda prospettiva, invece, si ritiene che la natura 'oggettiva' delle dichiarazioni che si cambiano per via telematica riduce sino quasi a rendere del tutto marginale lo spazio operativo degli stati soggettivi e dei vizi del volere. Così, ad esempio, la stessa situazione di incapacità del dichiarante (che evidentemente non può in alcun modo essere constatata dal ricevente) rileverebbe solo in termini eccezionali. Si pensi al minore che utilizzando la carta di credito dei genitori compia degli acquisti attraverso internet: è evidente che in questo caso non si potrà far valere la minore età del dichiarante.

Veniamo all'altro elemento essenziale del contratto su cui ho richiamato l'attenzione, e cioè la forma elettronica. La forma, come noto, è stata tradizionalmente considerata il "tallone d'Achille" del contratto concluso tramite elaboratori elettronici. Va però detto che la maggioranza dei contratti che si concludono su internet non necessitano della forma scritta ad substantiam (e cioè per la validità del contratto). Fatto questo, che ha indotto più di un commentatore a constatare che il recente regolamento sui documenti informatici e telematici possa costituire più un impaccio che non uno stimolo alla contrattazione elettronica.
Non intendo ripetere considerazioni già diffusamente sviluppate sul regolamento e mi limiterò pertanto a due considerazioni di carattere generale. La prima è che la disciplina del regolamento in più punti tradisce la tentazione non tanto di disciplinare la scrittura privata realizzata attraverso gli elaboratori elettronici, quanto invece di proporre una disciplina generale della contrattazione informatica.
La seconda considerazione concerne un personale dubbio di chi parla: ritengo che vi sia più di un argomento per dubitare che quella che emerge sia una scrittura privata, nel senso di un documento che fa piena prova se non ne è disconosciuta la paternità da parte di chi l'ha sottoscritto (art. 2702 c. civ.). Infatti, ai fini di contestare l'autenticità del documento potrebbe non essere sufficiente disconoscere la scrittura, atteso che il procedimento di cripatazione/autenticazione implica l'intervento di un soggetto terzo.

Anche con riguardo alla forma, è opportuno segnalare l'alternativa concettuale che si pone quando si parla di forma come elemento essenziale del contratto. Da un lato, infatti, secondo taluno la forma è un requisito dell'atto e cioè un elemento ineliminabile della sua struttura. Secondo altri, la forma è il mezzo che l'ordinamento adotta per raggiungere, in termini di politica del diritto, un determinato obiettivo (ad es. la protezione del dichiarante; la certezza in ordine al contenuto della dichiarazione; la protezione dei terzi possibili cointeressati).
Nella prima prospettiva, il problema che si pone è quello di constatare se sia stato soddisfatto l'onere che l'ordinamento richiede per la validità dell'atto. Nel secondo si deve identificare - a fronte del ricorso allo strumento informatico - se sia possibile surrogare il risultato che l'ordinamento aveva di mira imponendo il requisito formale.
Esemplificativamente: nella disciplina dei contratti conclusi fuori dai locali commerciali (D.lgs. 15 gennaio 1992, n. 50), si prevede che, quando il contratto è concluso mediante strumenti informatici o telematici, le informazioni in ordine al diritto di recesso, invece che per iscritto, debbano essere fornite nel corso della presentazione del prodotto (art. 9) (fermo restando, tuttavia, che la consegna della merce debba essere corredata delle ulteriori informazioni che contrassegnano l'esercizio del diritto di recesso e che da quel momento inizia a decorrere il termine di decadenza, art. 9, 2° co.).
Rispetto all'alternativa sistematica che ho sinteticamente indicato, la scelta compiuta dal regolamento sulla firma elettronica mi sembra si indirizzi piuttosto nella prima che nel seconda delle due prospettive. Un indizio significativo puÚ a questo riguardo trarsi dal tenore testuale dell'art. 4 del regolamento, che equipara il documento informatico con firma digitale e la forma scritta.

Questa opzione non manca di esporre al rischio di qualche ridondanza. Ad esempio, l'art. 11, 1° comma, del regolamento afferma che "i contratti stipulati con strumenti informatici o telematici mediamente l'uso della firma digitale sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge". La norma è in realtà pletorica, in quanto da essa non può desumersi - in un sistema governato dal principio della libertà della forma - che il ricorso alla firma digitale sia un requisito necessario per tutti i contratti conclusi in rete.
Sempre l'art. 11 contiene una statuizione che, se interpretata in modo letterale, può determinare risultati a dirittura fuorvianti. Al comma secondo si dice, infatti, che ai contratti conclusi mediante l'uso della firma elettronica si applicano le disposizioni a tutela del consumatore nei contratti negoziati fuori dai locali commerciali (d.lgs. 15 gennaio 1992, n. 50).
Ebbene, il legislatore avrebbe potuto disapplicare la disciplina in oggetto proprio in considerazione del fatto che l'adozione della procedura di criptazione è già di per sé sufficiente a richiamare il dichiarante sull'impegnatività della propria dichiarazione. La scelta è, invece, apparentemente nel senso di estendere la disciplina che consente il recesso di protezione indipendentemente dallo status delle parti e dunque anche nei casi in cui entrambi i contraenti siano degli imprenditori. Inoltre, l'art. 11, 2° co., sembra prevedere l'estensione della disciplina anche ai contratti - come quelli assicurativi - che l'art. 3 del d.l. 50/1992 esclude dal proprio ambito di applicazione.
Questa interpretazione - come è stato già da più parti rilevato - è sistematicamente inaccettabile, in quanto la disciplina di protezione prevista per i contratti negoziati fuori dai locali commerciali non può essere disancorata dalla particolare natura dei contraenti (un professionista e un consumatore). Quanto al fatto che alcuni contratti ne sono esentati, ciò deriva dal fatto che per essi è prevista un regime speciale.
La conclusione che appare preferibile è dunque nel senso che la previsione dettata all'art. 11, 2° co., conferma l'applicabilità del d.l. 50/1992, seppure in presenza della maggiore tutela assicurata dalla forma del documento informatico con firma digitale.

L'equiparazione che l'art. 4 del regolamento sancisce tra il documento informatico con firma digitale e il requisito legale della forma scritta può, per altri versi, determinare un risultato in taluni casi sottoprotettivo. Faccio riferimento all'art. 5 della recente direttiva 7/97 del 20 maggio 1997 sui contratti conclusi a distanza, in ordine al quale la comunicazione del diritto al recesso deve essere comunicata all'acquirente per iscritto o su altro supporto duraturo a sua disposizione e a lui accessibile. Sembra evidente, ad avviso di chi scrive, che l'equiparazione tra documento informatico e forma scritta espone al rischio di svuotare di significato pratico le finalità di tutela che ha avuto di mira il legislatore comunitario. Infatti, l'adozione della criptazione esenterebbe il venditore dal mettere a disposizione del compratore quelle informazioni su un supporto idoneo a consentirne la conoscenza anche successivamente al momento della conclusione del contratto.
La tutela del consumatore potrebbe invece realizzarsi chiedendo al contraente di ripetere l'accettazione evidenziando sullo schermo le informazioni ritenute rilevanti ai sensi della direttiva; e poi consentendo al compratore in qualunque momento di "scaricare" sul proprio computer e/o di stampare quelle stesse informazioni dal sito del venditore.

I contratti conclusi attraverso internet, in ultima analisi, creano una ricchezza ulteriore: si tratta dei transactional data, che sono le informazioni che il consumatore rivela per il fatto stesso di concludere quel particolare contratto (ad es. l'acquisto di un libro inerente la new age o la richiesta di invio di materiale pornografico).
Prima della legge sulla privacy (L. 675/96), questa ricchezza poteva essere appresa senza chiedere alcun consenso al titolare dei dati. Oggi è, invece, necessario informare il titolare sulle modalità e sulle finalità del trattamento e chiedere il consenso in ordine alla possibilità di cederli a terzi (art. 10, comma 4, L cit.). In questo caso il consenso - salvo il caso in cui non si tratti di dati sensibili- deve essere espresso liberamente, in forma specifica e documentato per iscritto (e non si può escludere se, a questi fini, sia sufficiente ad es. stampare su supporto cartaceo la corrispondenza ricevuta).

Non è, nel contempo, possibile tralasciare l'esame dei possibili limiti delle considerazioni svolte nel lavoro in oggetto, unitamente all'indicazione di alcune prospettive future. La ragione per cui talune delle conclusioni appena segnalate non possono essere comunque considerate un approdo definitivo sta nel fatto che la caratteristica di internet consiste nella extraterritorialità. Infatti, il consumatore italiano con il proprio computer può essere del tutto ignaro in ordine al luogo da cui il messaggio che legge sul proprio schermo è emesso. L'ipotesi patologica che già è prefigurata dalla letteratura giuridica, americana in particolare, è quella di soggetti che vendono i propri beni o servizi localizzandosi negli ordinamenti che non prevedono alcuna disciplina di tutela dei consumatori. In questo caso, le possibili violazioni della disciplina posta a protezione dell'acquirente, per quanto sanzionabili nel paese in cui la prestazione è eseguita, molto probabilmente non saranno riconosciute nel paese in cui l'illecito si è verificato e saranno quindi di difficile esecuzione.

Quali sono gli scenari che abbiamo di fronte. Uno è senz'altro quello della pirateria elettronica. Il rischio è quello che internet sia utilizzata per compiere atti speculativi a danno dei consumatori. La seconda ipotesi, che è quella più ottimistica, induce ad accettare la sfida tecnologica e a valutare l'impatto positivo che gli strumenti di comunicazione elettronica sono destinati a realizzare. Così, ad esempio, tra gli effetti positivi vi è senz'altro un alleggerimento dei costi di intermediazione. Ma va detto che una maggiore libertà e competitività del mercato si sconta nei termini del riemergere del principio di autoresponsabilità del consumatore (caveat emptor). Infine, come noto, il vantaggio competitivo del mercato "virtuale" consiste nella velocità in cui le informazioni e le operazioni si realizzano. E' allora evidente che ad esse non si adatta una macchina della giustizia - com'è quella italiana - che è invece particolarmente lenta.