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Sincronia e differimento nelle tecnologie di comunicazione

Scritto da Paolo Pistone

Comunicazione sincronica e comunicazione differita
Dalle pagine di un testo sulle nuove tecnologie della comunicazione ho voluto estrapolare la distinzione fra comunicazione sincronica e comunicazione differita.
Che non è da confondere con l'altra, fra comunicazione sincrona ed asincrona, per come almeno essa si presenta sotto un profilo eminentemente tecnico nell'ambito della comunicazione seriale.
L'una - a volersi subito procurare definizioni - consiste nel trasportare e rendere recepibile un messaggio in qualsiasi luogo ed il più velocemente possibile; l'altra nel rendere recepibile un messaggio, una informazione, in qualsiasi luogo ma - come significato dal termine "differimento" - in un qualsiasi tempo, ovvero in un tempo costitutivamente successivo rispetto a quello dell'acquisizione originaria dei dati.
Dunque le parole sincronia e differimento contengono la parola tempo, in senso tecnico: tempo come potenzialità tecnica nella trasmissione di dati. Io voglio trasmettere un messaggio con effetto d'immediatezza, oppure voglio renderlo solo disponibile per un destinatario "X", che posso e non sapere chi è, posso e non voler sapere chi è; che io, anche, posso solamente figurarmi, senza che esista; che io posso anche non figurarmi (essendo la comunicazione, per ciò che ne dice anche certa importante letteratura, qualcosa che trascende la mia volontà e la mia coscienza).
Nella prima categoria comunicazionale dire tempo è dire velocità, o quanto meno tendenziale azzeramento del tempo; nella seconda dire tempo è dire del suo arresto (mediante azione conservativa e di memorizzazione) e riproduzione. Il tempo, come idea, va pensato dunque anche come possibilità della sua "manipolazione", consentita dalla evoluzione della tecnica.

Diciamo quindi "tempo" il tempo di trasferimento dati, il tempo del cosiddetto transfer rate. Questo profilo m'introduce nel discorso sui mezzi (media) - e per meglio dire traduce il discorso sul tempo in quello sugli strumenti che ne definiscono il valore relativo -, che ho creduto d'identificare, in prima approssimazione e secondo una divisione classica, nel modo che segue.
Materialmente, al fenomeno della comunicazione sincronica appartengono, al di là delle rispettive età di nascita e delle differenti rappresentazioni mentali legate all'uso, oggetti quali il telegrafo, il telex, il telefono, il facsimile (fax), e poi ancora la radio, la televisione, e per certi versi il videoterminale e i dispositivi radiomobili.
Alla comunicazione differita appartengono, secondo una visione classica, i supporti di memorizzazione, ovvero tutto ciò che attiene alle cosiddette "memorie di massa". Tali si possono considerare il disco microsolco, il nastro magnetico, il disco removibile, il compact-disc, il DVD, lo Hard-Disk ed il floppy disc, in quanto tali ed in quanto su di essi si trovino registrati dati informativi.
Ma l'evoluzione della medialità dà da riflettere su questo profilo distintivo il quale - penso soprattutto alla seconda categoria, quella della comunicazione differita - sembra governato da un semplice criterio di evidenza o di esteriorità e non appare soddisfacente. Perché se è vero che il CD-Rom è un medium, allora, per il postulato di McLuhan (un medium contiene sempre - almeno - un altro medium, ovvero "Il contenuto della scrittura è il discorso, così come la parola scritta è il contenuto della stampa e la stampa quello del telegrafo" ), lo è anche la banca dati da esso supportata. Il data-bank si può dire rappresenta per eccellenza il medium della comunicazione differita.
Dal che si desume che nella comunicazione differita la medialità si pone in altro modo, con caratteristiche diverse da quelle con cui si pone nella comunicazione sincronica. Infrange la superficie stessa che sembra dettare quel profilo distintivo, dimensiona in un modo diverso il senso delle categorie linguistiche e concettuali.
Il primo concetto che viene in mente è allora che è limitativo, a non volersi occupare di questo o quel medium ignorando le procedure produttive, pensare la comunicazione differita senza pensare la tecnica volta al differimento della comunicazione.
La quale fra l'altro, oggi nell'ambito della elettronica digitale, dà esistenza a molti media per così dire "immateriali": programmi, files (ovvero oggetti - objects - comunicativi) di scrittura, musicali, di pittura o disegno. E sembra essere la condizione ideale per un'applicazione più approfondita, più radicale, del postulato di McLuhan, soprattutto sotto il profilo della multimedialità.
È limitativo, anche, pensare la comunicazione differita senza pensare, in un modo più approfondito di quanto non avvenga con riferimento alla comunicazione sincronica, le interfacce. Che in quella hanno molta rilevanza e che possono essere considerate a loro volta media per comunicare con altri media.
È limitativo, inoltre, pensare la comunicazione senza aver considerato la natura dell'input: l'emissione di voce, la battitura manuale dei tasti, lo scanning, la scrittura.
Il problema pare dunque che riguardi il regime di classificazione dei mezzi, che deve dar conto di una disparità soprattutto a causa dell'ampiezza che dopo McLuhan sembra contraddistinguere la nozione stessa di medium.
La distinzione comunque tende a perpetuarsi ed a riprodursi; essa si riverbera perfettamente nella distinzione tra banche dati on line e banche off line.

Aspetti storici della distinzione
La distinzione fra comunicazione sincronica e comunicazione differita è classica e ha dietro di sé una storia. Anzi, è più esatto dire che essa risente molto della diversità delle radici storiche e umane.
La comunicazione sincronica è duello diretto con la distanza.
Inizia con il dialogo ed i segnali di fumo e sonori a distanza; ma è divenuto indirizzo tecnologico a partire dal 1832, anno in cui Morse inventò il telegrafo inaugurando così l'epoca della telecomunicazione. Allora - secondo quanto scritto da McLuhan - la comunicazione si staccò "da materie solide come la pietra e il papiro", meglio: essa si staccò dalla carta, e da "strade, ponti, rotte navali, fiumi, canali", cui abitualmente la parola era associata.
Ovvero: con l'avvento della telecomunicazione il messaggio divenne più veloce del (tradizionale) messaggero - emancipandosi sia in termini di velocità sia in termini di fisicità - e nacque, nella tecnologia dei media, la comunicazione come "movimento d'informazione" .
Per rendersi conto del mutamento introdotto con l'invenzione del telegrafo (e della metànoia insita in esso) e per comprendere subito il significato del diverso dimensionamento delle categorie, di cui si diceva sopra, è sufficiente pensare che forme di comunicazione definibili come asincrone (mettiamo: lo scambio epistolare) entrarono allora per così dire nell'orbita della sincronia; oppure al rapporto fra il corriere postale, il treno, la via aerea ed i servizi di posta elettronica (mettiamo l'e-mail di Internet).
Storiograficamente si possono ritenere invece esempi di comunicazione differita l'oralità dell'antica Grecia (l'Odissea, ad esempio, quale magazzino della memoria, perpetuata dall'aedo), i "quipu" della cultura Incas (fasci di cordicelle ciascuna con il suo colore e con i suoi nodi, che servivano a registrare e ricordare), i papiri sui quali gli scribi egizi usavano trascrivere i risultati della conta del bestiame, il fenomeno in generale della scrittura (età "chirografica"), quello del testo stampato (età "tipografica", idea del libro come "macchina" della memoria). Ma la fase decisiva di tale storia la si ha ad iniziare dall'epoca dei Pascal e dei Leibniz, i filosofi-inventori, cioè con la progettazione delle prime moderne macchine da calcolo. Una storia peraltro che per tutto l'ottocento - fatta eccezione per il telaio automatico di Jacquard (abbinato con la rivoluzione industriale degl'inizi dell'ottocento) - e sino al primo calcolatore elettromeccanico del 1937, molto si nutrì di progetti.
Si tratta di storie indipendenti l'una dall'altra, forse parallele, che nella vicenda tecnologica però s'incontrano: dal sistema telegrafico di codifica-decodifica inventato da Baudot per la gestione elettrica della notazione binaria (importantissimo per il funzionamento degli elaboratori) fino alle tecnologie integrate dell'ultima generazione di media ed alla rete. Questi incontri, che si vanno ora accentuando a favore della tecnologia digitale, sono un fatto storico d'indubbio interesse, che ha i suoi riflessi sulla nostra distinzione. Che in qualche misura sembrano metterne in dubbio, in quanto alla identificazione con oggetti funzionali, i fondamenti, senza peraltro intaccare il valore convenzionale del linguaggio o della nomenclatura, per cui differire è differire e sincronizzare è sincronizzare.

Informazione e comunicazione
Nella comunicazione sincronica è importante, questo almeno secondo una definizione generale, la contemporanea presenza, in un determinato luogo e comunque, del destinatario o dei destinatari del messaggio. Essa appare condizionata in questo modo - e si tratta anche di attese psicologiche che fanno cultura - ad una ragionevole previsione e/o sufficiente identificazione della persona del recettore.
Questa caratteristica è abbastanza evidente (figura del destinatario "in linea") nel telegrafo e nel telefono, a causa della perpetuazione in essi - soprattutto nel secondo - del modello dialogico "naturale"; ma può essere riconosciuta mutatis mutandis (si pensi allo studio dell'audience, alla retorica della persuasione, ecc., che ne costituiscono il sostegno teorico), anche in quei mass media (radio e soprattutto televisione) che fanno parte della storia della tecnologia sincronica ma nei quali il modello interpersonale si è eclissato per cedere il passo a quello monodirezionale nonché ai principi della psicologia di massa.
Inoltre: se si può dire che l'"ambizione" sincronica si presta bene alla psicologia di massa, e parimenti che la psicologia e sociologia che sostengono i mass media possono segnalare l'esistenza di una certa quale crisi della comunicazione diretta, bisogna anche ammettere che l'annullamento della componente dialogica non è una mera deminutio, ma racchiude in sé, anche, il senso di una necessaria fase di crescita della tecnologia. (Sul finire dell'ottocento, ad esempio, con la sperimentazione del servizio di telefonia circolare, la radiofonia subentrò al telefono nella maggiore efficacia di trasmissione di musica e commedie.)
Bisogna ritenere inoltre, per esaurire preliminarmente questo primo profilo, che la presenza fisica e identificazione del recettore va interpretata anche come una forma di comunicazione digitale, nella quale il concetto di uomo-massa si traduce in quello, non propriamente passivo, di questo o quel destinatario.
Nella comunicazione differita invece l'attenzione si riversa maggiormente sull'oggetto, deputato a conservare in memoria. Con la nascita della prima cibernetica la scienza della comunicazione intraprende la strada della spersonalizzazione. La presenza e meglio la presunta identificazione del recettore non appare così rilevante, o quanto meno la strategia comunicazionale non sembra risolversi - almeno tradizionalmente - in tale aspetto. Antropologicamente la figura centrale non è quella del destinatario "in linea" né del radioascoltatore o telespettatore, ma quella dell'utente/utilizzatore, eventuale ed anonimo, pur sempre "persona" ma calato in un contesto di decostruzione del "soggetto" (il soggetto, configurato in più modi, ma sempre per implicito artefice del mondo, dalla filosofia moderna), che vorrà attingere in un qualsiasi momento, scientemente (o con consapevolezza relativa: si consideri il senso del browser), un qualsiasi tipo di dato informativo; o che vorrà comunque accedere ad un sistema, o ad una rete.
Dal punto di vista del recettore - con riferimento agli aspetti della sua personalità - si ha dunque nella comunicazione differita una generalizzazione, come la si ha nelle comunicazioni di massa, con la differenza però che nel primo caso la generalizzazione è più pronunciata, gli obiettivi di dominio sono più rarefatti e meno volgari ed il destinatario appare come eventuale e meglio forse sarebbe dire propriamente casuale. Caratteristica questa che può ricollegarsi al fatto che pari se non maggiore importanza ha - nella strategia differita - tutto ciò che ha a che fare con la cattura, conservazione ed accessibilità (in un qualsiasi tempo e da parte di chiunque sia abilitato a farlo) del dato informativo. Se è vero che l'informazione è tale in quanto sia comunicata, è altrettanto vero che la tecnica della comunicazione consente ora la manipolazione del tempo non solo in termini di velocità e linearità.
A fronte di differenze tecniche che permangono - che così vengono ridotte -, nel mondo retrostante alla comunicazione differita prendono vita e sviluppo dunque la scienza e tecnica dell'informazione e della documentazione; crescono il valore e l'importanza della programmazione - dunque del dialogo con le macchine e i microprocessori -, la logicità dei materiali e delle configurazioni. Tali caratteristiche inoltre fanno sì che l'aspetto dell'eventualità ed "astrattezza" dell'utente non escluda necessariamente ma preveda anche e ricomprenda in sé l'ipotesi del "destinatario in linea". Divenendo sempre più la condizione della persona umana quasi speculare - ed in questo anche assente - rispetto alla condizione tecnologica oggettiva, risultato o dimostrazione di un modo di comunicare assai più mediato e dunque come suol dirsi mediatizzato, interfacciato, ecc.
Ovvero, tutto ciò lo si può attribuire al fatto - alludo al senso della storia delle macchine "pensanti" - che nel dar vita a questo tipo di comunicazione (1) ci si allontana ab origine dal classico modello comunicativo interpersonale e l'attenzione per così dire si sposta: dal rapporto diretto e immediato fra persone (scienza della comunicazione tradizionalmente intesa, o anche pre-cibernetica) al rapporto comunicativo con certe tipologie di oggetti (dialoghi, come titolava Susani in uno scritto sulle interfacce, con gli oggetti) e per giunta nell'allontanamento dalla fisicità tradizionale dell'oggetto o della cosa. E che (2) la dinamica dei rapporti sia riunibile (riconfigurabile) in una nuova condizione della fisica, che potremmo definire in modo generale come digital-comunicativa. Il risultato o quanto meno il senso prospettico vogliono che sarà più o meno mediato ciò che oggi è immediato; sarà differito ciò che oggi è sincronico.
Che sia sincronico ciò che può esser fatto divenire tale in ogni momento. Che on line non sia più sic et simpliciter ciò che non è off line.
Si può tornare però a questo punto al discorso sul tempo. Per dire che il sincronico è contenibile nel differito e che così con l'avanzamento della tecnologia il tempo essenzialmente si mostra come qualcosa che è sempre più gestibile. O anche qualcosa da cui si può prescindere, come indicato dal concetto di asincrono.

La "Infocomunicazione"
Nella tecnologia del differimento l'oggetto (l'essere oggetto) e l'interazione soggetto-oggetto vengono ad essere valorizzati contemporaneamente all'informazione. E si può ammettere che dire "informatica" (informazione automatizzata), con riferimento ai computer, è in buona parte dire, con altre parole, tecniche e tecnologie della comunicazione differita. A questo riguardo, in considerazione anche della singolarità/inimitabilità degli aspetti naturali e sociali della comunicazione, si è ritenuto da taluno che l'informazione sul piano scientifico debba essere tenuta distinta dalla comunicazione; ma allo stesso tempo che fra le due discipline vi siano aspetti condivisi ed inscindibili che inducono a parlare di "info-comunicazione" .
Si potrebbe anche supporre, dato il clima d'incertezza nelle definizioni, che l'informatica dei computer (come mostra nella sua ragion d'essere la telematica) sia a sua volta una scienza concreta della comunicazione, differenziata e parallela rispetto a quella tradizionale, che non esaurisce in sé stessa - beninteso - tutti i problemi sollevati dalla comunicazione. La questione - per riprendere una domanda posta a suo tempo a proposito delle interfacce - può essere formulata nel modo seguente: di chi è la comunicazione? Per non aggiungere a questa l'altra domanda, fondamentale: che cosa è (allora) comunicazione?
In questo confronto sul piano scientifico e della comprensione dei fenomeni, all'informatica dei computer spetta un primato, oltre a quello di essere stata portatrice - sfruttando l'invenzione di Baudot - del codice digitale: di avere dato grande sviluppo alla possibilità di comunicazione (maggiore ricchezza e sensibilità di un desktop rispetto ad un interruttore o ad un set di pulsanti per l'attivazione di comandi) fra essere umano e dispositivo, fra essere umano e interfaccia, alla compatibilità fra linguaggi tecnici.
Di avere promosso soprattutto il rapporto uomo-macchina (anni fa s'iniziò a parlare di Human Computer Interaction: "HCI"), ovvero anche uomo-oggetto; l'istituzione cioè di legami di scambio fra "sistemi". Dimostrando in qualche modo la validità dell'equivalenza espressa a suo tempo da Wiener, secondo la quale l'informazione è "scambio d'informazioni" .
Di avere in ciò - per essersi comunque venuta ad innestare in quel percorso storico nel quale la prima cibernetica aveva già parlato di macchine "comunicative" - spersonalizzato o "disumanizzato" il valore e concetto di comunicazione; ma di avere contemporaneamente ingentilito, con riferimento a certe tipologie, gli oggetti solidi tramutandoli in oggetti "comunicativi".
Di aver aperto quegli oggetti alla bidimensionalità comunicativa, di aver reso accentuato perché attuato, progettabile, ecc., quel dialogo con gli oggetti e quella comunicatività insita in ciò che è oggetto, della quale si era avveduta, nei termini della proiezione del sé, soltanto la psicologia.
Di avere avviato maggiore profondità comunicativa fra uomo e uomo, fra uomo e istituzioni, di avere meglio reso agibili, in un rapporto più vissuto con la tecnica, nuove forme di dialogo dell'individuo con sé stesso (il monitor e ciò che esso induce nella mente come nuova specularità) e con gli altri.

Riproducibilità e manipolabilità nella comunicazione
La tecnica della comunicazione differita inizia con la memorizzazione dei dati; tale era ed è anche una pittura murale. Nella elettronica digitale però la tecnica della comunicazione differita consiste non solo in fatti di registrazione ma anche nella riproducibilità delle informazioni - simile per tanti versi alla possibilità di una eco a ripetizione.
Diventa così chiaro, nella evidenza di un output (nel quotidiano: stampa presso uno sportello "Bancomat" di una "lista movimenti"), che una determinata informazione può essere acquisita dall'utente finale perché di fatto essa è divenuta riproducibile (: se la ridomanda cinque minuti più tardi ne ha altra copia identica).
Ma - aspetto molto importante - se una memoria di massa rende disponibile una informazione in essa registrata, ciò accade non solo perché quella informazione è stata introdotta nel medium che viene a supportarla, ma anche perché il medium per le sue caratteristiche fisiche e produttive dovrà necessariamente averne mutate le proprietà (è il mondo, vario, dei "formati") e così il riflesso culturale.
In altre parole il dato informativo che viene restituito e cioè offerto all'utente non è quell'identico dato che è stato immesso. È invece un messaggio mediatizzato, cioè trasformato dal medium che lo trasmette, ovvero tradotto - pur permanendo le intuibili distinzioni - in esso.
Il fenomeno è generale e investe un po' tutta la medialità. Ad esempio: "un discorso trascritto su carta non è più il medesimo discorso, uno scritto che venga stampato non è più lo stesso" . E anche, secondo un postulato dell'electronic writing, la scrittura è la tecnologia di scrittura (in parole povere: scrivere con una penna non è scrivere con un lapis, se penna e lapis sono strumenti tecnici diversi). E si potrebbe pensare anche per analogia, nell'ambito della comunicazione cosiddetta "naturale" (ovvero non-tecnologica), all'abilità declamatoria di un attore di teatro o all'antica ars rhetorica, se non fosse che l'idea e prassi della riproducibilità, superata una fase solamente antropologica, si è affermata veramente - tolta se vogliamo l'idea di falsificazione della moneta, che può essere fatta rientrare in questo ambito - con la produzione in serie della merce.
Nella riproducibilità, dalla nascita del libro stampato (prototipo - secondo McLuhan - della merce prodotta in serie) ad oggi, sembra essersi insediata per buona parte la sostanza della moderna potenzialità tecnica. Quella stessa che dal punto di vista spettacolare ha raggiunto livelli suggestivi con il cinematografo Lumière e che con la realtà virtuale nel mondo dei computer digitali consegue profondità e potenza superiori.
Soprattutto in tale mondo la riproducibilità dell'informazione manifesta una valenza non solo conservativa ma anche trasformativa. Riprodurre significa anche - perché questo è insito in esso - non propriamente produrre di nuovo o più volte ripetutamente, ma piuttosto indica il poter trasformare, tradurre, e dunque prima di tutto poter assoggettare ad azioni trasformative, poter manipolare, utilizzare documenti e dati (musicali, fotografici, ecc.) in modo molteplice.
Un oggetto dunque è riproducibile tanto quanto manipolabile, e viceversa: non separerei troppo l'essere riproducibile dall'essere manipolabile, perché il principio mi sembra il medesimo.
Di manipolabilità si può parlare, prima dell'avvento del cinema, già con riferimento al libro stampato. La produzione in serie del libro crea innanzi tutto la merce in senso moderno, poi accresce la disponibilità e la trasformabilità della scrittura e anche trasmette, trasferisce in un certo modo, oralità creando, non senza poteri di suggestione, una coscienza essenzialmente visiva (io posso pensare in questi casi anche ad un impacchettamento di quantità, di quanti di scrittura -: caratteri, pagine, ecc. - o di oralità, trasportabili, trasferibili). Ma è con l'avvento degli elaboratori digitali - si diceva - che la possibilità tecnica di manipolazione ha il suo exploit.
Ne sono esempio, sul piano delle possibilità effettive, il livello di elaborabilità dei dati: importare o esportare un file - o una sua parte -, tradurne il formato, ingrandire o rimpicciolire il corpo di un carattere alfabetico o numerico, trattare un suono alla stregua di un evento scritturale, creare un file multimediale (composto ad esempio da una parte scritturale, da uno o più brani musicali e da una o più immagini); l'accesso a servizi di rete (videoconferenze, banche dati on line, ecc.); il controllo sul funzionamento di un sistema (configurazioni interfacciate, pacchetti diagnostici interattivi, ecc.); la possibilità di sospendere un messaggio, o più in generale di undo (negazione di una o più azioni compiute).
Facendo riferimento a tali caratteristiche si può comprendere ancora come attraverso i progressi avvenuti nelle tecniche per il differimento si vengano a profilare nuovi indirizzi nel campo della comunicazione. Forte di tali conquiste, la tecnologia del differimento pone nuove basi per la gestione della stessa possibilità di comunicare, nelle reti ma non solo nelle reti. Piuttosto su più livelli: nei rapporti umani (sostanzialmente) ludici con il sé e con gli altri, nei rapporti fra dispositivi (ad esempio nella descrizione fattane da Negroponte nella parte finale del suo Essere digitali). Tutto questo accade con intuibile incidenza sul regime di circolazione e scambio d'informazioni fra esseri umani tramite oggetti.
In siffatta metamorfosi del regime di manipolazione-comunicabilità dei dati si può notare come s'inizi a giocare anche con il tempo e lo spazio, come cioè tempo e spazio non siano più gli unici artefici del gioco, che pur sempre è gioco di percezioni o sensazioni.

Spaziotemporalità e tecnologia
Nella sincronia e nel differimento si possono ravvisare due indirizzi, o strategie, nei quali la tecnologia si costituisce in rapporto con lo spazio ed il tempo, ovvero con la cosiddetta "spaziotemporalità". Spazio e tempo (almeno il cosiddetto tempo "esteso", attinente cioè al rapporto fra punti molto lontani) che sono uniti o traducibili l'uno nell'altro: si pensi al paradosso della stella visibile nel cielo notturno ma estinta da moltissimi anni.
Nel caso della sincronia l'obiettivo è che spazio e tempo siano contratti o azzerati (ed in ciò la fibra ottica - la quale in forza della sua larghezza di banda fa sì che l'informazione viaggi in grosse quantità alla velocità della luce - è un approdo significativo rispetto al modo tradizionale di pensare la spaziotemporalità, ché - secondo gl'insegnamenti della fisica - "a nessun oggetto materiale può venir impressa una velocità tanto elevata [quanto quella della luce]" ). Nel caso del differimento l'obiettivo è invece che il tempo sia arrestato o dilatato, o addirittura catturato (memorizzato) e trascinato nel discorso della casualità (Randomness), prossimo alla natura fisica, e che lo spazio sia a sua volta dilatato o per così dire sia sospeso; o quanto meno che entrambi siano virtualizzati ed in ciò ricondotti all'essere oggetto dell'oggetto.
Ciò che avviene nella tecnologia della comunicazione può essere interpretato anche sotto questo profilo teorico, sorretto da altre significative verità scientifiche come quella per cui il concetto di tempo è "determinato dalle operazioni con cui misuriamo il tempo stesso" .
Questo mostra come il valore "spazio-e-tempo", pur restando come valore di riferimento, sia oscillante, non inequivocabile, finanche "empirico", e perciò sia arduo elevarlo a criterio leader per definire completamente le tipologie tecnologiche della comunicazione.
Nel nostro caso abbiamo che se si dice differimento ci si riferisce, per l'uso che si fa solitamente di tale vocabolo, ad un valore temporale e non strutturale. Ma ciò cui si rimanda con la distinzione fra sincronia e differimento non può essere costretto nell'abituale (naturale, istintivo) sentimento del tempo, ovvero nell'idea del tempo come tempo di percorrenza di un dato spazio (tempo cioè necessario per coprire una determinata distanza). E nemmeno nell'idea, correlata, di velocità, e cioè: velocità necessaria ad un corpo per percorrere una certa distanza. Sappiamo ancora infatti dalla scienza fisica che non vi è una sola idea di velocità, non vi è - meglio - un solo concetto di essa che corrisponda alla "nostra impressione istintiva di velocità" .
I necessari, sia pur relativi, approfondimenti scientifici sembrano dunque ricondurre la spaziotemporalità nella sfera umana delle percezioni o delle rappresentazioni, il che darebbe ragione per molti versi alle intuizioni filosofiche di Berkeley, secondo il quale nella percezione l'essere si costituisce; se non venisse ad essere capovolto il modo antropocentrico ed in qualche modo deterministico come le intuizioni filosofiche vengono di solito interpretate.
Detto ciò, bisogna ammettere che il problema classico della spaziotemporalità nella realtà permane - guai se così non fosse - e che esso si manifesta, come è naturale che avvenga, nell'ambito della cosiddetta strategia sincronica. Nella quale storicamente, in virtù del mezzo telefonico, la lotta contro la distanza ha raggiunto uno fra i suoi maggiori successi con la liberazione dal vincolo della "condivisione dello spazio", per cui per recepire il messaggio si rendeva indispensabile la vicinanza del recettore rispetto alla fonte di emittenza del medesimo.
La stessa naturale ineliminabilità, nelle possibilità comunicative, dell'azione di modulazione-demodulazione (l'oramai familiare "modem") e del canale di trasmissione dimostra come, nello scenario della comunicazione "a distanza", lo spazio sia tendenzialmente insopprimibile. Ma evidentemente, se vi è spazialità, vi sono in natura i mezzi per annullare la spazialità. Ad esempio attestando la trasmissione di dati su una dimensione temporale che sfugge alla nostra ordinaria percezione.
Aumentare la velocità e contrarre il tempo significa dunque - come mostrano la progressiva digitalizzazione (trasformazione in senso digitale di quanto prima era analogico) delle linee di comunicazione (ad esempio ISDN, tecnologia con la quale è possibile interfacciare in modo digitale e cioè connettere, il terminale o personal dell'utente alla linea telefonica digitale così come esso è collegabile alle più note linee analogiche PSTN)e media quali le fibre ottiche e le tecnologie fondate sulla trasmissione asincrona di celle d'informazione (ATM) - eliminare la percezione, o quanto meno riuscire a plasmarla.
Sembra di poter sostenere, alla luce anche di queste considerazioni, che la strada indicata, ovverosia quella della digitalizzazione, difficilmente non muta la realtà e la sostanza del medium; e non sembra comunque soddisfacente attingere il criterio di distinzione ad una "ideologia" per così dire telegrafica o telefonica, attestata sostanzialmente su un modo classico e tradizionale d'intendere il fenomeno comunicativo sincronico. E meglio quel criterio non sembra di per sé stesso sufficiente.
Dava da pensare ad esempio, in questo senso, la differenza tracciata anni or sono da Ph. Quéau fra una spaziotemporalità (per così dire extra-informatica almeno quanto pre-informatica) quale categoria trascendentale (kantianamente intesa) ed una spaziotemporalità (per così dire informatica) come "oggetto", manipolabile mediante azioni tecnicamente mediate.
La distinzione ha trovato una spiegazione consona al discorso sulla comunicazione nell'idea, maturata nella nuova medialità, di uno spazio e tempo essenzialmente condivisi (importanza delle cosiddette esperienze "condivise") fra utente/utilizzatore e macchina pensante, o fra utenti che comunichino in rete. Il che vale a distogliere dalla preponderanza ideologica - prima ancora che dal realismo - di certa tecnologia sincronica.
Ma il realismo è fine a sé stesso e ha un valore tecnologico relativo. A ripensare tempo e spazio come non dipendenti dalla tradizionale strategia sincronica, valgono nuove forme sorgenti di sincronia. Ad esempio che cos'è tempo nel faccia a faccia dell'essere umano con la macchina (non necessariamente solo per accedere ad una banca dati, ma in qualsiasi interfacciamento)?, nei tempi di risposta di un sistema alle sollecitazioni o interrogazioni dell'utente, o più in generale nel fenomeno del feed-back, per cui ogni azione è guidata - durante e non dopo il suo svolgimento - dagli effetti che essa sta producendo in funzione degli obiettivi che bisogna conseguire?
In questi, che sono modi di comunicazione sincronica nati nella tecnologia del differimento, sembra sfuggire alla normale percezione l'idea di velocità di percorrenza. O quanto meno in essi si avverte una diversa natura o probabile definizione della velocità - che non attiene solo a due esseri umani che vogliano comunicare fra loro, ma anche al funzionamento di una macchina della quale l'uomo si serve, della quale in fondo egli poco sa, ma con cui comunica ed interagisce; che si può inquadrare in un concetto di tempo applicato ad intervalli molto brevi - ed in ciò un valore primario attribuibile all'evento in quanto tale.
Una tale casistica - e questa sembra possa essere una conclusione approssimativa che abbraccia un po' tutto quanto è stato detto sino ad ora - si nota piuttosto nel campo delle prestazioni. Qualsiasi fatto di comunicazione può essere considerato come una (semplice) prestazione e qualsiasi prestazione come un fatto di comunicazione. Intendendo per comunicazione un transito di informazioni utili, necessarie, "destinate a ..." e ricordando a questo proposito che nel campo della elettronica digitale qualsiasi tecnologia possibile ha una sua attitudine comunicativa.
Se si ammette che per la psicologia sincronica le soluzioni consistono in un aumento della velocità, e se ciò che conta in questo è il fatto che l'aumento di velocità induce una diminuzione della percezione del tempo e dello spazio, allora si può comprendere come debba essere rimesso alla tecnologia il governo del nostro mondo percettivo e dei suoi oggetti mentali.
La conferma assai eloquente, a mio modo di vedere, la si coglie nella realtà virtuale (Virtual Reality), laddove si viene ad incidere programmaticamente sulla soglia delle sensazioni. Le quali così vengono ad essere governate, sin dal loro nascere, in un modo tale che il soggetto è convinto di vivere ed agire - realisticamente - in una spazialità che non è quella cosiddetta "reale", o meglio appartenente alla realtà "esteriore". Ed è importante considerare, detto questo, come la dimensione virtuale della tecnologia elettronica debba essere inquadrata, secondo i canoni classici della scienza della comunicazione, nell'ambito o nella storia della comunicazione differita.
Sembra quindi che il primato, sul piano dei criteri distintivi e definitori, spetti in un modo crescente alla tecnologia nel suo porre spazio e tempo in rapporto alla nostra capacità percettiva. Sincronia e differimento in questo non sono entità soppresse ma divengono termini formali e semanticamente "mobili".

Riferimento alla "nuova medialità"
Assistiamo dunque in questo periodo storico alla progressiva sostituzione di tecnologie analogiche (cosiddette per il tipo di segnale trasmesso) e monomediali - caratterizzate dalla identificazione di un tipo di messaggio (mettiamo il messaggio vocale) con il mezzo nel quale esso è prevalente (mettiamo il telefono) - con tecnologie digitali (detto sempre con riferimento al tipo di segnale), multimediali ed interattive - caratterizzate cioè dal tendenziale abbattimento del "muro" monomediale, e/o da possibilità "conversazionali" e di controllo nel rapporto tra fonte di emissione e recettore.
Sotto il profilo della evoluzione dei media, questo fenomeno viene ad innestarsi, con aspetti - tecnici e non solamente tecnici - oppositivi rispetto ad essa, in un'epoca di comunicazioni di massa. Per cui si parla, da qualche anno, più o meno in contrapposizione ai mass media, di new media, ovvero di "nuova medialità".
L'espressione è generica e, nonostante i nuovi mezzi manifestino caratteristiche loro proprie, e comunque salienti, ha un sapore descrittivo. La genericità può spiegarsi con il fatto che del fenomeno sono parte così nuove generazioni di elaboratori digitali come i telefoni cellulari, così la televisione digitale come il Videotel, così la comunicazione in rete come il CD nella molteplicità dei suoi tipi, così la radio digitale come - in quanto ai canali - le fibre ottiche ed il satellite. Con il fatto che ancora alto risulta essere il regime d'integrazione tecnologica e che in generale fra i new media alcuni presentano caratteristiche consolidate e sono entrati nel largo consumo, altri versano in una condizione embrionale, altri ancora in uno stadio sperimentale.
È dunque (ciò almeno nella psicologia ordinaria) come si fosse intrapreso un cammino senza scorgerne gli sbocchi; restando all'ingegno umano immaginare e/o progettare - un po' quanto era accaduto per le macchine pensanti nel corso dell'ottocento.
Come di solito avviene al sorgere di nuovi fenomeni storici, molte, anche in questo caso, sono le cause del nuovo. Ma in questo caso il cambiamento in corso nella tecnologia mediale trova corrispondenza nel perfezionamento, potenziamento ed affermazione del computer, meglio del personal computer. Che è catalogato in modo "esteriore" dalla teoria della comunicazione come un new medium, ma che di più è dotato di caratteristiche tecniche che ne fanno un modello per la nuova medialità ed in generale per i futuri sviluppi della comunicazione. L'informazione è molto una informazione visibile, accessibile agli occhi.
Statisticamente si possono cogliere legami storici obiettivi tra la diffusione del computer ed il fatto che il telefono, nato per dare comunicazione diretta ed immediata, sia stato dotato di dispositivi per memorizzare. O tra la diffusione del computer ed il fatto che la televisione, mezzo per tradizione "monodirezionale" (andando il messaggio dall'emittente al recettore senza possibilità di controllo o correzione in tempo reale), e "diffusivo" (essendo il mezzo predisposto per la recezione di massa), evolva in servizi a carattere interattivo (Teletext o Televideo, "Video-on-Demand").
La tendenza (lo scriveva già Vasseur in un libro del 1993: Les médias du futur) è più o meno quella cui già si accennava: che quasi tutti i media analogici stanno divenendo digitali. Se la nuova medialità non si risolve attualmente in questo, questo ne costituisce certamente un aspetto molto importante.
Parlare di computer significa parlare dell'attitudine dei microprocessori (sorretti da adeguati set d'istruzioni) a "digitalizzare" le informazioni, ovvero a tradurle in bit (cifre binarie), a controllarle, correggerle, con velocità notevolmente crescenti (si pensi alla "legge di Moore", per cui la capacità dei microprocessori raddoppia ogni due anni).
E significa parlare non più di codice analogico, ma di codice digitale, ovvero della tecnica che rende possibile "campionare" il segnale in virtù di un codice elementare, formato "di due soli elementi: 0 (tensione bassa) e 1 (tensione alta), e dunque non presenta [come invece accade nel tradizionale codice analogico] né un rapporto 1:1 né correlate continue variazioni di frequenza poiché si fonda sulla serie di bit [...] dalla cui sequenza vengono composte delle stringhe (bytes) successivamente lette dal convertitore che le codifica e ritrasforma il codice numerico in un segnale video, audio, teletext"
Parlare di bit significa parlare, sempre con riferimento alla trasmissione di dati, di alta "granularità" (dimensione dell'unità minima di comunicazione ovvero "il più piccolo elemento atomico al di sotto del quale non si può interrompere [la comunicazione]": Lippman).
Queste caratteristiche - sempre considerando come esso per il suo carattere numerico costituisca un linguaggio universale - possono spiegare i vantaggi che rendono decisamente preferibile il codice digitale. La possibilità, che esso introduce, di una maggiore "razionalizzazione" della quantità del canale impiegato nella trasmissione e di una maggiore elasticità e manipolabilità della informazione.
Maggiore elasticità e manipolabilità significa che il messaggio può essere compresso (con eliminazione dei dati non necessari) e impacchettato, oppure interrotto (Lippman); che il segnale può essere "pulito", ponendo forti limitazioni ai fenomeni di spreco di energia (quantità eccessiva di risorse in uscita presso l'emittente), ovvero alla "ridondanza" (più o meno: necessità di una emissione sovrabbondante rispetto alla quantità ritenuta indispensabile per la ricezione). Tutto ciò mentre oggi si assiste, oltre che alla diffusione del codice digitale, all'emergere (si pensi al telefono digitale o al progetto di radio numerica DAB: Digital Audio Broadcasting) di una nuova tendenza nel rapporto fra codice e canale di comunicazione. Oggi - è stato detto con riferimento al rapporto fra il codice digitale e la larghezza di banda - vi è "un nuovo processo comunicativo in cui il codice [...] può essere inteso come struttura portante del canale comunicativo [...]" .
Elasticità e manipolabilità portano maggiore velocità nella trasmissione dei dati. La digitalizzazione cioè, che investe molto il mondo della comunicazione sincronica svecchiandolo, accostandolo alla tecnologia del differimento, presenta una tendenza naturale alla riduzione della percezione della spaziotemporalità. E sembra di assistere in ciò ad una unificazione fra i due tipi di comunicazione, a causa del fatto - vale la pena ripeterlo - che l'elettronica digitale è di per sé stessa fatto comunicativo.
Con l'emergere della nuova medialità, la tipologia della comunicazione sincronica ha cambiato volto: è tramontato il senso del telegrafo, sono stati modificati gli usi e meglio l'idea stessa di telefono e di televisione. Sta cambiano, come si è detto, il rapporto fra codice e canale di comunicazione. Ma ciò nonostante non sembra venuta meno la possibilità di continuare a catalogare il cellulare o il videotelefono fra i mezzi di comunicazione sincronici. Accade in sostanza all'idea di comunicazione sincronica ciò che accadeva all'idea di albero nella filosofia greca antica (penso al modello socratico-platonico). Poteva trattarsi della quercia o del platano, ma era comunque un albero: l'idea cioè nella sua astrattezza era sempre valida.
Vien fatto di pensare a questo punto che il senso stesso della comunicazione interpretata alla maniera della scienza e tecnica della comunicazione sia orientato alla sincronia e all'uso finale. Nonché fondato sulla regola per cui ciò che ora versa nel differimento giungerà prima o poi, come per un travaso di tecnologia, allo stato di sincronia. Che questo possa significare approfondire ed affinare le potenzialità di un medium come il computer che deve la sua singolarità al fatto di essere un antropoide con una valenza comunicativa sua propria. Che insomma approfondire la strategia del differimento sia la strada per ottenere risultati importanti in quella della sincronia.
Si nota inoltre, associato al finalismo, un certo "empirismo" della sensibilità. Ma sembra che a tale empirismo possa sfuggire qualcosa sul piano della comprensione soddisfacente della tecnica, se consideriamo ad esempio quanto quella distinzione recasse in grembo un certo patrimonio storico e quanto venisse a pesare sulla identificazione dei mezzi sincronici il fatto che essa avvenisse in base ad una tecnologia analogica e monomediale. Per cui cioè ad un determinato mezzo si faceva corrispondere, in un clima di netta distinzione, un determinato tipo di comunicazione. Forse in questo senso pesa molto sulla distinzione la pluralità degli oggetti materiali che alla comunicazione, in un'epoca della comunicazione, sono destinati.

Media "immateriali"
Il discorso sul rapporto fra tecnologia (del differimento) e oggetto della percezione umana, iniziato sul terreno della spaziotemporalità, può essere proseguito ed approfondito ad esempio soffermandosi sulla materialità del medium.
In tal senso, al posto della parola "differimento" - interpretata nel senso di memorizzazione e riproducibilità - si può provare ad usare la parola "virtualizzazione", potendosi ritenere virtuali quegli artefatti che abbiano natura tale da consentire la loro riproducibilità, ma alludendo ad una capacità di riproduzione che i media meccanici non posseggono.
Penso questo in relazione al fatto che un altro, per certi versi più efficace, invito a riflettere si pone con riguardo al software e alle banche dati. Il problema, con riferimento alla comunicazione, è: come catalogare la videoconferenza o una banca dati on-line? Che sono media tanto quanto può esserlo la televisione oppure il libro, ma che non lo sono come la televisione ed il libro?
Il problema dal punto di vista mediologico riguarda la classificazione di media cosiddetti "immateriali", e cioè non-solidi ma quanto meno visibili; un concetto forse, quello di medium, che potrà sostituire per la sua genericità quello giuridico o anche economico di "bene", così come il concetto di bit può aver sostituito - nella rappresentazione o senso comune - quello di atomo.
Abbiamo con l'avvento del computer una proliferazione di media "immateriali" consistente anche nel fatto che l'automatismo fa sì che i media immateriali si moltiplichino come avviene ad objects manipolabili e comunicativi. Da una parte cioè che si abbia evoluzione naturale nei software che rende agibile altro software, dall'altra che si abbiano sempre nuove modalità e formati di quell'evento umano che è la scriptura, o progressive capacità di elaborazione (trarre ad esempio da una banca dati on-line dieci CD-Rom, da un CD-Rom venti files trattabili in videoscrittura, stampabili e/o inviabili via fax), o che in generale multimedialità significhi "sempre crescente multimedialità".
Questa proliferazione è legata al fatto che ciò che una volta era differito ora è on-line. Al fatto che con la multimedialità minore è la distanza fra ciò che è memorizzato e ciò che si può comunicare ora. E cioè, di più, che la scelta fra differimento e trasmissione diretta di un messaggio faccia capo ad una tecnologia omogenea, profondamente integrata, prima ancora che a tecnologie e mezzi nettamente differenziati.
Infine non si tratta di semplice meccanica proliferazione, ma di una miriade di media immateriali che con il divulgarsi delle utenze di rete vengono messi in circolo concretizzando in modo superiore rispetto alla televisione e al telefono il senso stesso della telecomunicazione.

Integrazione e "possibilità"
Come dimostra la vicenda della multimedialità, i new media sono caratterizzati, nel bene e nel male, da crescente integrazione tecnologica. Ovvero: altra caratteristica che emerge nella nuova medialità è la corrispondenza fra il diffondersi in modo molteplice di tecnologie integrate e l'apertura alla realizzazione di sempre nuove possibilità di comunicazione.
Tale è l'indicazione contenuta nei progetti di cellulare più video, di videotelefono, nei primi prototipi di PC-TV o di "ITV" (TV-telefono-computer), ed è un indirizzo che va approfondendosi ed articolandosi: si pensi, ancora, al "PCC", Personal Computer Communicator, che racchiude le funzioni di computer, televisore, telefono e modem.
Ma l'integrazione tecnologica - almeno nei limiti dell'attuale osservabilità del fenomeno - è una realtà dai molti risvolti. Contestualmente ad essa avviene ad esempio che una informazione, un messaggio, viene differito pur potendo essere trasmesso in tempo reale. Oppure che l'un mezzo evolvendo si traduca nell'altro: il Televideo apre al telesoftware; il Videotel - che sfrutta la linea telefonica - nasce già con caratteristiche d'interattività; il terminale, nato come tale, evolve verso maggiori chances per l'utenza, dovute a sistemi d'interrogazione oppure a sistemi di I/O vieppiù sofisticati; la televisione diviene terminale, magari il prefigurato terminale che a mo' di quadro si possa appendere alle pareti delle abitazioni.
L'integrazione avviatasi con i new media significa ancora dunque sperimentazione ed incertezza. Ma cresce la sensazione, e ciò molto in relazione al diffondersi delle tecnologie digitali, che in questo regime di trasformazioni i mezzi e le tipologie che ad essi si possono associare stiano divenendo modi di una medesima sostanza.
In altre parole l'indirizzo preso con la nuova medialità reca con sé l'idea che vi sia o meglio si vada formando una unità o sostanza tecnica superiore rispetto alle divisioni che caratterizzavano la comunicazione in un regime di monomedialità e monodirezionalità.
Tutto questo si può esprimere con un altro concetto o principio: quello di possibilità, più volte richiamato in questo scritto. Ovvero: io posso "scannerizzare" una fotografia importandola e modificandola; posso comunicare solo con me stesso così come posso leggere files scritti in altri paesi. Posso/non posso inviare un messaggio ad una periferica di stampa mentre ascolto un brano musicale e mentre predispongo un fax; posso/non posso inviare una comunicazione in rete, posso/non posso tenerla piuttosto registrata sul mio Hard-Disk. Ovvero anche: nella comunicazione in rete io posso scrivere una pagina che non so chi leggerà (casualità del recettore, che trova applicazione anche nel forum di Videotel) o che nessuno leggerà, mentre la scrivo o mai; che potrà non essere letta mai o esserlo solo in un futuro indeterminato. Che, ancora, chi la leggerà potrà farlo sapendo o senza sapere chi l'ha scritta. Laddove la sostanza tecnologica consente che ciascuna di queste azioni sia egualmente esperibile o non esperibile, che l'una valga l'altra.
Questi ed altri aspetti sono indicativi di una sempre più avverantesi "tecnologia della possibilità", nella quale il fenomeno dalla comunicazione classica viene assorbito divenendo gestibile e che volge a sua volta - anche identificandovisi - a nuove dimensioni comunicazionali.
Tali nuove dimensioni, in termini tecnici, valgono a liberare l'informazione ovvero la sua unità minima, da quelle che prima o poi sono vesti (codici, canali, media) antiquate. Così nella comunicazione digitale il problema è vestire i bit, oppure con il canale delle fibre ottiche il fotone divenendo medium diviene la nuova veste dell'informazione.
Per dire che il mezzo non lo è solo in rapporto all'uso umano, ma anche in rapporto all'informazione, la cui entità minima, per quanto scritto da Negroponte, può essere immaginata come un nuovo atomo.

Comunicazione e Web
Ogni epoca lo è anche di comunicazione; ma presumibilmente mai come in questo periodo storico la comunicazione è stata idealizzata. Mai come adesso la tecnologia sembra volta alla comunicazione, il che è provato dalla proliferazione negli ultimi anni di artefatti comunicativi e dall'affermazione dell'informatica personale e del web in relazione ad essa - fenomeno al quale qui si fa preferibilmente riferimento.
Rete significa che dietro mia richiesta io ottengo contestualmente che presso di me, sotto i miei occhi, ovvero sul mio monitor, compaia un oggetto, un brano di scrittura oppure dati numerici o musicali, che in verità sono lontani da me, dalla mia postazione, mille chilometri. Che è come se nel mio appartamento vi fosse una stanza che in realtà dista da me mille chilometri. E che io ho questo anche senza rendermene conto. Ovvero con quello che si definisce "effetto di realismo". Il che significa efficace annullamento della distanza (anche grazie alla visività), denota i valori della virtualità e velocità di trasmissione dei bit di dati ed implica, anche, la dipendenza delle mie percezioni ed azioni dalle potenzialità della tecnologia. Il che significa che queste chances esistono e sono presenti a prescindere da me; che esiste una struttura di rete
Internet, la rete per eccellenza, forse una idea nuova di rete, è stato paragonato ad una grande memoria comune (dell'uomo) - qualcuno, nell'età del meccanicismo, l'avrebbe definita forse una grande macchina -. Laddove l'idea di memoria non allude ad un passato da ricordare o che faccia ricordare, ma ad una immensa raccolta d'informazioni gestibili, alla presenza, contemporanea e strutturata a livello mondiale, di tantissimi dati memorizzati cui - in relazione a criteri di ricerca e di esplorazione - si ha accesso. Internet è come un ambiente predisposto alla visitazione del mondo, aperto a chiunque ne sia utente; è a suo modo fenomeno di neo-cosmopolitismo. Con esso avere un personal - un po' come fosse un telefono - sulla propria scrivania equivale ad essere cittadino del mondo.
Ma tant'è: l'immagine non è solo immagine e si riferisce a dati tecnici specifici. La rete è un differimento globale di dati consultabili e trasmissibili molto rapidamente. È quindi qualcosa che poggia sulla tecnologia del differimento o comunque che la ricomprende in sé in modo eccellente; ma allo stesso tempo - come mostrano l'importanza, per le operazioni di download, dei dispositivi modem, la ideologia dell'on-line e quella del real-time - i canali, interpretati in senso lato, rispondono ad esigenze di velocità e di sincronia (ancora: frequenza di oscillazione di un microprocessore, velocità di connessione ad un provider, che procura e mette a disposizione l'utenza o ad un site, volgarmente "sito", d'Internet - misurabili in bit-per-second).
Nella rete sembra dunque che si sia inverata, come già avvenuto nei fenomeni d'integrazione dei cosiddetti new media, quella unità fra comunicazione sincronica e comunicazione differita alla quale si è più volte accennato. Unità che, come mostra l'evoluzione delle linee telefoniche, è stata rafforzata e resa più omogenea dalla tecnologia digitale.
In altre parole, nella rete è messo in sincronia ciò che prima era memorizzato, differito, ed è contestualmente memorizzato l'evento comunicativo, con uno sconvolgimento comprensibile delle logiche comunicazionali classiche.
Tutto questo avviene attraverso impulsi elettrici trasmessi per i più nel modo della scrittura, interpretata lato sensu. La rete è molto un fenomeno di scrittura (elettronica) comunicativa e riprende qualcosa che era valido per il telegrafo. Intendendosi per scrittura l'attitudine umana alla produzione istantanea di fonti di memoria attraverso l'uso della mano, dunque intendendosi per scrittura anche il disegno, la pittura, la elaborazione di calcoli, ed in sostanza gli atti di trasmissione di comandi.
Questa particolarità dà ragione a chi ha sostenuto che la scrittura elettronica è per sua natura predisposta alla comunicazione (prima ancora che a salvaguardare il messaggio, come invece accadeva al codex medievale e al libro moderno). Il che è credibile se si prendono in considerazione i profili della natura virtuale dei dati e della loro importabilità ed esportabilità consentita dalla elettronica digitale. Meno credibile, a mio modo di vedere, se ci si limita a considerare i meri fattori umani.