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Psicologia giuridica - La valutazione del danno da lutto

Scritto da Paola Ottobre

Prof. Giovanni D’Angiò, Dott.ssa Arianna Recco, Dott.ssa Paola Ottobre 

In materia di danno non patrimoniale accanto al danno biologico di natura psichica, il danno morale e il danno esistenziale, il cosiddetto danno da lutto è l’ultimo arrivato che con fatica si è guadagnato il suo spazio in ambito civile risarcitorio. Mentre il danno psichico riguarda la “lesione all’integrità psico-fisica della persona” (Corte Cost. 184/1986), il danno da lutto esamina una lesione non diretta ma riflessa, che deriva dalla morte di un altro individuo con il quale intercorrevano particolari legami di parentela ed affetto. In sede giudiziaria il danno da lutto costituisce una conquista recente fino a poco tempo fa negata dall’art. 1223 c.c. che respingeva le richieste di indennizzo ai familiari della persona deceduta, a seguito di un'azione di terzi conseguente ad un fatto illecito. Solo con la sentenza della Corte Costituzionale (372/1994) è stato riconosciuto il danno da lutto ai congiunti del soggetto leso come esito di una sofferenza degenerata in una lesione psico-fisica che ha compromesso la qualità della vita. Oltre ai coniugi, la Suprema Corte (sentenza n. 2988 del 24 marzo 1994) ricorre alla risarcibilità del danno anche nel caso di “famiglie di fatto”, qualora se ne fornisca la prova nei termini previsti. Dal punto di vista giurisprudenziale nel danno da lutto, come più in generale nel danno psichico, ai fini del risarcimento l’art. 2043 c.c. dispone che “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. Nell’articolo citato l’obbligo del risarcimento può essere espletato in considerazione di determinate condizioni:

  1. l’intenzionalità di chi ha commesso il danno (art. 43 c.p.) o a causa di negligenza e sconsideratezza,
  2. l’ingiustizia del danno cagionato (art. 32 della Cost.),
  3. individuare colui che ha provocato il fatto e che non sia esente dal risarcire.

Il lutto rappresenta sicuramente il più grave stressor della vita di un essere umano come alterazione durevole che colpisce nella sua interezza lo stato di salute psicofisica della persona. Un evento luttuoso può modificare la capacità di apprezzare la gioia di vivere compromettendo il regolare svolgimento delle attività ludiche o ricreative che caratterizzano uno stile di vita.  La perdita del piacere della vita (lost pleasure of life) costituisce la privazione del sé e la “rinuncia al fare”, influenzando negativamente il funzionamento delle attività della vita quotidiana (mangiare, dormire, viaggiare ecc…), la capacità di padroneggiare la sfera emotiva, di trarre piacere dalle relazioni interpersonali e dalle attività sociali, di provare soddisfazione dall’impegno lavorativo (Berlà, Meyer, Andrews, 1990). In questo senso il danno da lutto si annette al danno esistenziale come alterazione dell’equilibrio psico-fisico che compromette il normale svolgimento delle attività che rientrano nella sfera realizzatrice della persona, cagionando un conseguente peggioramento della qualità della vita. Il danno esistenziale per sua natura si configura come uno stato di disagio psichico che non assume alcuna rilevanza di tipo psico-patologico. Il danno da morte può indicare diverse situazioni giuridiche risarcibili:

  • iure ereditario come danno diretto per perdita istantanea della vita o lesioni o malattie con esito mortale che si trasmette dalla vittima agli eredi,
  • iure proprio come danno riflesso subito dai congiunti come conseguenza causale della morte del soggetto.

Accertato che un evento luttuoso a seguito della morte di un congiunto può essere origine di un danno a livello psichico, in ambito peritale occorre valutare caso per caso. Nel 1998 la Cassazione si esprime a questo proposito sottolineando come “il risarcimento del danno biologico patito dai congiunti in seguito alla morte del familiare [] può essere accordato esclusivamente ove sia fornita prova che tale decesso ha inciso sulla salute dei congiunti stessi”. L’evento morte è un fatto al quale nessun essere umano può sfuggire e il lutto non sempre coincide con un danno ai familiari del defunto. Ma quando in seguito alla morte di un congiunto il soggetto fallisce il proprio processo interiore di elaborazione della perdita, il lutto diventa patologico. Per patologico s’intende che le manifestazioni più acute di sofferenza e perdita continuano a perdurare nel tempo, mentre nel lutto fisiologico terminato il periodo di elaborazione del lutto, vi è una consapevole accettazione del cambiamento, l'intensità del dolore diminuisce, con una nuova ristrutturazione del sé.

E’ possibile riscontrare otto categorie diagnostiche per identificare il comportamento da lutto patologico (Raphel e Middleton, 1990):

  1. il lutto ritardato o assente basato su meccanismi di negazione, è caratterizzato dalla ritardata manifestazione dei segni della fase acuta del cordoglio o totale assenza. La negazione dell’evento traumatico può tradursi in uno stato di sofferenza più intensa e prolungata;
  2. il lutto inibito si manifesta con l’attenuazione della sofferenza sostituita con sintomi somatici, iperattività, autodistruzione, autorimproveri, ritiro sociale. L’aspetto patologico si denota proprio nell’assenza della sofferenza;
  3. il lutto cronico è contraddistinto da un processo di rielaborazione bloccato che cagiona il prolungare indeterminato del senso di perdita e dell’idealizzazione del defunto;
  4. il lutto ipertrofico si riscontra a seguito di morti improvvise o inaspettate, con reazioni intense e protratte nel tempo che vedono inefficaci le strategie consolatorie;
  5. il lutto isterico denota una patologica identificazione con la persona scomparsa;
  6. il lutto maniacale è caratterizzato dal disconoscimento della sofferenza e dalla comparsa di sentimenti di onnipotenza, agitazione psico-motoria e iperattività afinalistica;
  7. il lutto ossessivo vede l’aumento delle inibizioni, l’incapacità di badare a se stessi e il ritiro dalla vita sociale;
  8. il lutto delirante si manifesta con l’attribuzione irragionevole ad altri delle cause della perdita della persona amata o vi è la convinzione che la persona deceduta viva altrove.

E’ importante nel corso nel lavoro peritale che il consulente distingua le caratteristiche del lutto patologico dall’accentuazione dei sintomi del lutto fisiologico. A questo proposito il criterio cronologico risulta di fondamentale rilevanza. Per accertare un danno da lutto occorre un periodo di tempo molto lungo fino a due anni, sia per accertare che non si tratti di un “regolare” iter da lutto fisiologico, sia per usufruire di maggiori informazioni in caso di giudizio di una sintomatologia permanente. Riguardo all’aspetto cronologico non bisogna dimenticare che nella valutazione di danno da lutto si può verificare un “esordio tardivo” della manifestazione dei sintomi, come sopra citato, nel lutto ritardato o assente. La valutazione del danno da lutto dipende unicamente dal riscontro della reazione soggettiva della persona sottoposta a perizia. Non tutte le persone reagiscono nel medesimo modo di fronte ad eventi traumatici. Il rischio di depressione che può derivare dal lutto è in stretta correlazione con il grado di parentela che aumenta significativamente per la perdita di un coniuge, un genitore, un figlio o un fratello e diminuisce per un nipote o un amico. In seguito ad un evento luttuoso è possibile riscontrare una serie di sintomi che sono in generali accompagnati da un abbassamento delle difese immunitarie e da un innalzamento della mortalità:

  1. depressione,
  2. malattie cardiovascolari,
  3. cirrosi,
  4. fino a tentativi di suicidio.

La morte improvvisa e violenta di un congiunto sembra generare delle conseguenze molto più dolorose rispetto ad una “morte annunciata” come nel caso di una lunga malattia. Mentre la perdita di un genitore in età infantile può compromettere il sereno sviluppo del bambino, disagio che maggiormente si esprime nel disturbo d’ansia da separazione o nel disturbo dell’adattamento. Secondo la diffusa esperienza clinica a seguito di un riscontrato lutto patologico è possibile rilevare nella maggioranza dei casi i seguenti inquadramenti diagnostici, secondo i criteri del DSM-IV-TR:

  1. Disturbi d’ansia,
    • disturbo d’ansia generalizzato (D.A.G.),
    • disturbo dell’adattamento (D. d’A.),
    • disturbo post-traumatico da stress -DPTS- (in caso si assista alla morte violenta del familiare),
    • disturbo d’ansia da separazione (nei minori d’età),
    • disturbi da attacco di panico (D.A.P.).
  2. Disturbi deliranti,
    • deliri depressivi.
  1. Disturbi dell’umore.

Riguardo ai criteri metodologici oltre agli aspetti condivisi più in generale con il danno psichico (raccolta dell’anamnesi, colloquio clinico, esame della documentazione clinica, esame testistico), nell’accertamento del danno da lutto il consulente deve procedere indagando determinati passaggi (Buzzi F., 2002):

  1. la tipologia e l’intensità del rapporto interpersonale fra la vittima e i congiunti,
  2. le conseguenze cagionate dal periziando a seguito del lutto,
  3. i rapporti causali riscontrati in relazione all’evento-morte e la struttura di personalità del periziando.

Ai fini della formulazione di un giudizio prognostico a breve e medio termine, è necessaria la quantificazione e misurazione dei sintomi psicopatologici, attraverso un sistema percentuale di indicazione di gravità (lieve, moderato, grave). Tale valutazione dei disturbi deve tenere conto di una serie di elementi:

  1. l’entità dei sintomi,
  2. il grado di sofferenza riscontrato nel vissuto del periziando,
  3. la modificazione della sfera personale, affettiva e relazionale,
  4. il peggioramento dell’adattamento alla capacità lavorativa.

I tempi imposti dalle fasi giudiziali quasi mai coincidono con i tempi di normale stabilizzazione dei sintomi. La valutazione peritale deve, dunque, adottare criteri di previsione in riferimento ad una casistica clinica consolidata nella letteratura di riferimento. Nella sentenza della Corte Costituzionale (n. 134/1986), il criterio di liquidazione del danno si basa sul concetto di equità, inteso oggettivamente come “uniformità pecuniaria di base” e soggettivamente come “elasticità e flessibilità” alle menomazioni psico-fisiche del in caso in esame. Considerata la mancanza di un’unicità del metodo è importante che il consulente nella relazione peritale, oltre alla diagnosi, fornisca al giudice tutti gli elementi indispensabili per valutare la gravità del danno e la sua temporaneità o permanenza. 
 

Riferimenti bibliografici  

American Psychiatric Association, DSM-IV-TR Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Masson, Milano, 2001.

Buzzi F., Vanini M., Guida alla valutazione psichiatrica e medicolegale del danno biologico di natura psichica, Giuffrè Editore, Milano, 2006.

Dominici R., (a cura di), Il danno psichico ed esistenziale, Giuffrè Editore, Milano, 2006.

Gulotta G., (a cura di), Elementi di psicologia giuridica e di diritto psicologico, Giuffrè Editore, Milano, 2000.

Mariotti P., Toscano G., Danno psichico e danno esistenziale, Giuffrè Editore, Milano, 2003.

Pajardi D., Macrì L., Merzagora Betos I., Guida alla valutazione del danno psichico, Giuffrè Editore, Milano, 2006.

Pernicola C., Guida alla valutazione del danno biologico di natura psichica, Franco Angeli, Milano, 2008.

Petruccelli F., Petruccelli I., (a cura di), Argomenti di psicologia giuridica, Franco Angeli, Milano, 2004.

Zettin M., Rabino S., Il danno biologico da morte quale perdita del piacere della vita, in Psicologia & Giustizia, Anno II - Numero 2 Luglio-Dicembre 2001.